Helda meaning.

Helda /ˈɦeld̪a/: antico nome germanico che significa "guerriera".

sabato 16 luglio 2016

No more kisses on a bench.

Quando mi sono svegliata, qualche ora fa, mi sentivo oppressa.
È strano, stanotte stranamente sono riuscita a dormire senza svegliarmi e restare con gli occhi aperti a fissare il soffitto bianco del mio monolocale in periferia. In un primo momento ho pensato che avessi di nuovo qualche sintomo dell'appendicite che in questi giorni mi sta facendo provare la paura di finire su un'ambulanza di notte ed essere operata senza i miei genitori; dopodiché ho ipotizzato che la sensazione di oppressione fosse normale in questi giorni, giorni in cui le edizioni straordinarie del telegiornale stanno diventando angosciosamente ordinarie.
E poi ho letto la data sul calendario e come se non bastasse la possibile appendicite e la paura del mondo in cui vivo, sono stata investita da una cascata di ricordi legati a questo giorno, di tre anni fa. E allora ho provato un altro tipo di dolore.
Il primo impulso è stato quello di digitare un numero che inconsapevolmente ricordo a memoria, ma per fortuna il mio buonsenso ha prevalso sulla mia euforia mattutina. Tanto non servirebbe a niente, tanto non risponde da settimane. È bastato ricordarmelo per lanciare il cellulare dall'altra parte del letto.
Eppure la mia mente, animata di una forza propria - che probabilmente vuole istigarmi al suicidio alla Emma Bovary - non la smette di farmi ricordare. E purtroppo io ho la capacità di ricordare proprio tutto: le immagini, i suoni, gli odori, le sensazioni, i sapori.
Ricordo che era una giornata caldissima ed io ero a Napoli, tornata probabilmente da poco da un'afosa Bologna dove avevo fatto gli ultimi esami prima dell'estate e ricordo che il giorno dopo sarei partita per Roma con delle mie amiche di Milano e che sarei rimasta nella città eterna per cinque giorni (che furono bellissimi!)... E per questo motivo ero uscita dalla mattina per andare a fare shopping e comprare qualcosa per il mio imminente viaggio, o almeno era quello che avevo detto a mia madre per giustificare un'intera giornata fuori nonostante il caldo, nonostante la mia pressione sempre troppo bassa.
E poi il pomeriggio ero andata al Vomero dove avevamo l'appuntamento. Dopo un anno che parlavamo quasi ogni giorno e che io inconsapevolmente avevo iniziato a desiderarlo, finalmente l'avrei visto e non per caso tra gli scaffali dei dischi a La Feltrinelli o ad un concerto di una band underground, ma ci saremmo incontrati volutamente. Cuore, polmoni, stomaco, testa e ghiandole sudoripare... tutti contro di me, mentre lo aspettavo alla fermata della Metro di Vanvitelli. E poi l'ho visto...
Ancora adesso, dopo tre anni, io non saprei descrivere quella sensazione, la stessa che riprovo ogni volta che lo vedo (circa una volta all'anno, purtroppo); una sensazione che non ho provato nemmeno quando sono atterrata a Belgrado ed ho rivisto dopo sette mesi il mio ex ragazzo serbo. Una sensazione legata solo a lui e basta.
Quel pomeriggio era stato bellissimo e anche l'inizio di tutti i mali. L'inizio delle sparizioni, del mio dolore, dei litigi, dei ritorni, delle lacrime, delle notti insonni a pensare a lui o a parlare con lui, del mio amore ingestibile che mi ha portata ad essere una persona diversa dalla Helda più giovane che guardava con disprezzo le sue amiche innamorate e che giurava che lei non si sarebbe mai comportata così, non sarebbe mai stata paranoica, gelosa, stupida al punto da sorridere per un messaggio. Quella Helda lì, l'aveva giurato: niente amore, non fa per me e probabilmente non esiste. Ma quella Helda aveva appena vissuto il divorzio dei suoi genitori ed era disincantata ed arrabbiata con il mondo intero ed avrebbe smesso di esserlo solo quando, una sera a fine Maggio 2012, avrebbe ricevuto un follow inaspettato su Twitter da cui sarebbe partito tutto.
Il pomeriggio del 16 Luglio 2013, invece, si concluse su una panchina in Via Chiaia - quella davanti al negozio della Guess, che ora non esiste più -, con gli alberi che la riparavano dal sole ed il mio cuore che aveva deciso di diventare un prodigio della batteria. Ed un bacio che se chiudo gli occhi ancora mi sembra di sentire. Il primo nostro bacio, il primo bacio durante il quale io abbia davvero provato qualcosa.
Essere innamorata di lui in questi anni è stato come guidare una nuova Maserati in una strada senza uscita. Ci sono giorni in cui tutto quello che vorrei è andare avanti e smetterla di pensarlo e a volte ci riesco, ed altri in cui vorrei solo ricevere un suo messaggio del buongiorno, come all'inizio... e quelli sono i giorni peggiori, i giorni in cui sarei capace di litigare con il mondo intero semplicemente per provare a sfogare una rabbia che non posso sfogare e allora canto, scrivo storie o canzoni - che lui, pignolo e pedante Vergine, troverebbe insopportabilmente fuori metrica - ed in ogni parola ritrovo lui, sempre. Un uroboro continuo, incessante e doloroso.
Marco Mengoni - che, per ironia della sorte, ha il nome al 70% uguale al suo -, direbbe: «Non c'è niente che resiste al mio cuore quando insiste perché so che tu non passerai mai. Non mi passerai.» e forse ha ragione, ci sono casi in cui semplicemente non può passare e basta e non importa quante volte provi a fare "chiodo schiaccia chiodo", quanto ti concentri sulla rassegna stampa del giorno pur di non pensare e quanto a volte cerchi di convincerti che vivete a 776 chilometri di distanza e sarebbe impossibile in ogni caso, quanto non vedo l'ora di partire per le vacanze sperando nell'ennesima storia estiva che per un po' te lo leva dalla mente... Lui resta sempre lì. E anche tu, sei ancora su quella panchina in Via Chiaia, tra le sue braccia convinta che nulla di tutte le brutture del mondo possa toccarti in quel momento, perché la tua felicità è più forte di tutto il resto.
«In un universo parallelo sarai sempre Mio, 
 avrei voluto dirti molto altro ma...
 ti amo e addio