Helda meaning.

Helda /ˈɦeld̪a/: antico nome germanico che significa "guerriera".

lunedì 28 dicembre 2015

Note dell'iPhone, 16/10/2015

Seduta sulla nostra panchina. Sì, la chiamo ancora "nostra", nonostante siano passati due anni e tre mesi esatti da quando abbiamo condiviso quei pochi minuti seduti insieme qui; ironia della sorte, non l'ho fatto di proposito a sedermici proprio oggi, semplicemente sono in attesa, come al solito. In realtà non dovrei comunque chiamarla così, siamo stati seduti su quella panchina venti minuti al massimo, il tempo di restare abbracciati e lasciare che i nostri occhi - entrambi scuri come il caffè - parlassero per noi.
Ci sono passata tante volte, sia prima che dopo quel giorno, d'altronde questa è una delle strade che percorro di più in assoluto a Napoli e ogni volta mi ricorda te, provocando un dolore sordo che col tempo ha iniziato a fare meno male, ma ritorna nei momenti più inaspettati, come una vecchia frattura quando cambia il tempo.
La "nostra" panchina, perché all'epoca avevo grandi speranze riguardo un "noi", speranze che poi, proprio come nel romanzo di Dickens, si sono se non dissolte almeno assopite; forse anch'io come Pip che alla fine incontra Estrella insieme ad un altro ed è felice per lei, un giorno ti incontrerò con un'altra e non farà più male, nonostante non sia mai stata davvero tua. In fondo Dickens è stato lo scrittore del "vero", magari ha ragione.
Ma per il momento non sono tanto fortunata, la tua assenza è sempre troppo più presente delle tue presenze e io vorrei parlarti raccontandoti com'è andata la mia giornata e sapere com'è stata la tua, sorridere quando con il tuo umorismo tagliente critichi qualcosa ed alzare gli occhi al cielo - divertita - quando sei assolutamente sicuro di aver ragione, così dolcemente presuntuoso. Vorrei non dover pensarci a lungo prima di inviarti un messaggio, per poi decidere di cancellarlo ancora prima di premere invio perché tanto non avrebbe senso; vorrei non aver paura di disturbarti, sempre e vorrei sorridere molto più spesso ricevendone uno tuo e ormai accade sempre più di rado, senza più la dolcezza dei tuoi "buongiorno" e "buonanotte piccola H". Vorrei ricevere ancora quegli sguardi che forse ora rivolgi alle tue amiche, ad un'estranea dai capelli blu che incroci per strada o ad una tua collega di università e vorrei non essere così gelosa per questo. Ma soprattutto ti vorrei nella mia vita, cazzo quanto ti vorrei.
Per ora resto seduta qui ancora un po', a ricordare il nostro primo bacio e il primo bacio in assoluto per cui io abbia davvero provato qualcosa; e mi sembra quasi di sentire la pressione delle tue labbra sulle mie, la nostra indecisione che poi sfociò in passione escludendo tutto il resto al di fuori di noi. Mi sembra ancora di sentire te.

giovedì 26 novembre 2015

Thanksgiving.

Tra alcune ore - a seconda del fuso orario - tutta l'America sarà seduta attorno ad una tavola imbandita di varie "squisitezze" - se tali le si può definire -, tra cui il posto d'onore sarà riservato ad un tacchino... morto, imbottito di castagne, verdura ed erbe e cotto al miele... una tale bontà che ho avuto il piacere di mangiare alcune volte e che ancora mi provoca i conati di vomito al solo pensiero. Inoltre milioni di tacchini sono stati ammazzati per rispettare una tradizione, ma d'altronde gli americani hanno ben altre morti sulla coscienza, così come gran parte del mondo occidentale... facciamo anche tutto.
Per cosa si può essere grati precisamente in questo periodo? Con il ricordo ancora vivido degli attentati a Parigi, o in Mali, della ricerca frenetica al terrorista a Bruxelles inquietantemente deserta in questi giorni, alla Francia che bombarda la Siria per "mirare la sede dell'Isis" ma uccide perlopiù civili e non si differenzia poi tanto dai terroristi, così come la Russia, o la Germania o qualsiasi altro Paese che ha deciso che rispondere alla morte con altra morte sia la cosa giusta da fare. Così adesso quelli che si autoproclamano "buoni" hanno fatto una guerra contro i "cattivi", ma chi l'avrebbe mai detto che erano così tanti i cattivi da eliminare.
Per cosa precisamente si dovrebbe ringraziare? Per il continuo stato di paura in cui siamo tutti? Paura che inizia ad essere quasi un'ossessione per cui si hanno ripensamenti sul viaggio con le amiche prenotato da mesi, o di andare a fare una passeggiata in Duomo, di avere uno straniero seduto accanto in metro, di vedere un concerto... paura che accieca tutti e rende insani...
Questa è una guerra, una guerra molto diversa da quelle fatte di trincee e strategie militari che si studiano nei libri di storia, questa è una guerra in cui non si sa contro cosa si combatte e perché e soprattutto come si fa a combatterlo.
Ma persino in un periodo così buio, forse qualcosa per cui essere grati c'è.
C'è che la rivalità tra Inghilterra e Francia che dura da secoli (dai miei ricordi accademici risale probabilmente a molto prima della Guerra dei Cent'Anni | 1337-1453), eppure dopo le stragi a Parigi l'Inghilterra ha cantato la Marsigliese in segno di pace e sostegno; c'è che due signori che hanno perso la figlia durante la strage, hanno dimostrato una forza ed una compostezza che dovrebbe essere d'esempio per tutti, lanciando un grandissimo messaggio di pace nello stabilire che il funerale di Valeria Solesin sarebbe stato laico ed aperto a qualsiasi persona di qualsiasi religione che avrebbe avuto voglia di unirsi al dolore della perdita, dichiarando inoltre che i terroristi che hanno ucciso Valeria non avranno il loro odio e in questo clima di sospetto, di chiusura delle frontiere, di accuse becere nei confronti degli stranieri come se "musulmano" inglobasse implicitamente la parola "terrorista", è la migliore vittoria che potessimo segnare a discapito dell'Isis, molto più forte di qualsiasi colpo di kalashnikov.
E se in un periodo così buio essere grati per cose banali può sembrare inutile ed inadeguato, in realtà credo che proprio le cose apparentemente banali possano essere un buon motivo per cui essere grati, d'altronde la felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce.
Perciò, nonostante il 2015 sia stato un anno di guerre e sangue e dolore per il mondo, non posso non considerarlo invece nel personale l'anno più bello, soddisfacente ed indimenticabile della mia vita, contro ogni previsione persino più bello del precedente.
Il 2015 è stato l'anno della mia laurea al DAMS, di vari viaggi di cui uno in particolare che resterà per sempre nel mio cuore in cui ancora sento gli odori della Serbia, il sapore della pljeskavica e la forza dell'amore; è stato l'anno del consolidamento di amicizie già incredibilmente forti e di abbandono di altre che si sono dimostrate false e sbagliate; l'anno in cui ho amato tanto e perso; l'estate di Rodi e delle meraviglie della [mia] Grecia ancora una volta, della pita, del mare meraviglioso, di un altro Tempio di Atena e di altri baci in lingue straniere; del tentativo di innamorarmi ancora, nonostante non fosse la persona giusta o il momento giusto (e nemmeno la me giusta); l'anno in cui ho dimostrato che il mio nome significa guerriera e che lo sono stata davvero tanto... Il 2015 è stato un anno intenso e bello oltre ogni aspettativa che si sta concludendo con una delle più grandi soddisfazioni: l'ammissione - e l'attuale frequentazione - del Master in Comunicazione Musicale.
Non importa se ho degli indesiderati "coinquilini" a sei zampe nella casa che ho affittato e che sta dimostrando chiaramente di non volermi nemmeno un po', nonostante assenze che tornano di tanto in tanto e fanno ancora male, nonostante le temperature che tocchino già lo zero ed a dispetto di occhi e pensieri cattivi ed invidiosi (non è vero ma ci credo!) che provano a buttarmi giù senza rendersi conto che io comunque sono più forte.
Io sono grata e ringrazio per questo fantastico 2015, e lo faccio oggi perché dell'America amo la cheesecake, i blue-jeans, Bob Dylan, la pista di pattinaggio al Rockefeller Center e la Route66, ma anche le festività e le tradizioni come questa (graziando il tacchino!), perché è importante anche fermarsi e fare un resoconto e soprattutto essere grati per ciò che di bello si riesce ancora ad avere.

sabato 7 novembre 2015

Vado a vivere da sola...

Vado a vivere da sola perché la mattina, mentre faccio colazione, leggo l'oroscopo di Paolo Fox dall'App per iPhone, anziché leggere i giornali e non mi va che si sappia in giro.
Vado a vivere da sola perché - sinceramente - un po' odio tutti.
Vado a vivere da sola perché la frase precedente è un bluff (però qualcuno davvero non lo sopporto e quel qualcuno potresti essere tu che stai leggendo).
Vado a vivere da sola perché sotto la doccia mi sono stancata di cantare "Knockin' On Heaven's Door", ho bisogno invece di cantare le canzoni di Adele accasciata nella vasca da bagno, con un bicchiere di Jack Daniel's in mano ed affogare nelle mie lacrime per un amore che effettivamente non esiste (non più almeno).
Vado a vivere da sola perché voglio scrivere liberamente fino a notte fonda una delle mie infinite storie incomplete.
Voglio vivere da sola perché ci sono giorni in cui mi esalto per quadri, libri, film e canzoni di cui vorrei essere stata io l'artefice, dopodiché mi deprimo e sembro una psicolabile.
Vado a vivere da sola perché sono una psicolabile, in effetti.
Vado a vivere da sola perché ci sono giorni in cui non vorrei mangiare ed altri in cui ho bisogno di mangiare pure i mobili e non voglio che gli altri mi guardino male.
Vado a vivere da sola perché odio le persone saccenti, false, presuntuose, ignoranti, opportuniste e malevole... che di persone del genere in giro ce ne sono anche troppe e non voglio addirittura conviverci.
Vado a vivere da sola perché sono troppo grande per il sesso in auto... che poi non abbia mai fatto sesso in auto, è un'altra storia!
Vado a vivere da sola perché faccio lo shampo ogni due/tre giorni e mi dà noia che mi si dica che i miei capelli erano ancora puliti quando invece c'era più olio di quanto ne contengano le patatine dei vari ChipShop di Via Toledo.
Vado a vivere da sola perché soffro di insonnia e vorrei essere libera di ascoltare tutti i Concerti de La Stravaganza di Vivaldi ad alto volume quando non riesco a dormire.
Vado a vivere da sola perché una non può mica sempre nascondersi per farsi i selfie!
Vado a vivere da sola perché voglio parlare liberamente con i miei amici immaginari, Signor Cavallo e Mago Diddino e sparlare di voi che siete chiaramente tutti pazzi.
Vado a vivere da sola perché continuare a parlare di amori distanti millecinquecentoquattro chilometri inizia a non essere un argomento avvincente per il blog (tuttavia continuo a parlarne a chiunque sia ancora disposto ad ascoltarmi).
Vado a vivere da sola perché se un sabato sera non mi va di uscire perché mi sento particolarmente asociale e decido di rivedere tutta la saga di Harry Potter in finlandese (perché ormai la conosco a memoria sia in italiano che in inglese e mi sto attrezzando per il francese e lo spagnolo), nessuno mi guardi come se fossi la Piccola Fiammiferaia, sola, senza amici e senza nessuno in generale.
Vado a vivere da sola perché "studi dell'Università del Massachusetts dicono che" le donne intelligenti e laureate spaventano gli uomini, per cui con una laurea già presa e quella del Master in working progress, sono sulla buona strada per essere una zitella con cento gatti... la casa c'è già, per i gatti ci stiamo attrezzando!
Vado a vivere da sola perché comunque spero che per una volta gli "studi dell'Università del Massachusetts" siano errati e in tal caso avrei un posto da adibire ad alcova perché i posti strani anche basta.
Vado a vivere da sola perché ogni tanto mi piace guardare su Youtube i video di Jaff Dunham, in particolare di Achmed The Dead Terrorist, che mi fanno sempre morire dal ridere, ma nessuno mi capisce. (A parte una persona che vive a millecinquecentoquattro chilometri di distanza che me li ha fatti scoprire...)
Vado a vivere da sola perché conosco una ragazza australiana della mia età i cui genitori hanno letteralmente cacciato di casa i fratelli un po' più grandi di lei perché sono abbastanza grandi per abbandonare la casa dei genitori.
Vado a vivere da sola perché capita raramente - ma capita! - che mi venga voglia di ascoltare di nuovo i Blue e fare le coreografie del Guilty Live From Wembley come se fossi Sherene Flash.
Vado a vivere da sola perché ho una reputazione da salvaguardare e devo fingere che nella mia playlist non ci siano né i Blue, né Adele, né Vivaldi (così come tanti altri che non oso nemmeno nominare).
Vado a vivere da sola perché ho così tanti dischi e libri che tra poco non ci sarà più lo spazio vitale per me nella mia camera.
Vado a vivere da sola perché sono figlia unica, avrei ammazzato un possibile fratellino perché ciò che mio è mio e non è nella mia natura condividere, soprattutto se si tratta degli scaffali del frigorifero.
Vado a vivere da sola perché Marlon Teixeira non sa della mia esistenza.
Vado a vivere da sola, a Milano, perché c'è la Milan Men's Fashion Week grazie alla quale spero che Marlon Teixeira sappia finalmente che esisto e decida di venire a vivere con me.
Vado a vivere da sola perché I'm sexy and I know it.
Vado a vivere da sola perché sì.
Vado a vivere da sola perché soffro d'insonnia, ma i sogni più belli li ho sempre fatti da sveglia.
Vado a vivere da sola perché questa è un'altra sfida che lancio a me stessa, le precedenti le ho vinte tutte.
Vado a vivere da sola perché il mio nome significa guerriera e le battaglie in cui sono più valorosa sono quelle per cui vale davvero la pena lottare
Vado a vivere da sola perché il "securecode" su TinyPic per l'hosting di questa immagine era "Believe in yourself" e credo sia un segno... Non credo in nessun altro che in me stessa.

mercoledì 28 ottobre 2015

Cronache di una studentessa fuori sede (di nuovo!)

Cosa si fa a Milano quando piove e si è soli in hotel se non si vuole fare la stessa fine di Janis Joplin?
Si passeggia fino allo strenuo per Corso Buenos Aires guardando i vestiti in vetrina e pensando a quanto ti starebbe bene quel cappello bordeaux che indossa il manichino! Che poi camminando mi sia venuta una disdicevole voglia di cheasecake con la base di Graham Crackers alla cannella - che a tratti sembrava voglia di crostata di crema pasticciera e fragoline -, nonostante in hotel avessi un'enorme quanto ottima frittata di maccheroni cucinata dalla mia chef che ama farsi chiamare mamma, è un'altra storia di cui la SPM è sicuramente la principale responsabile. Nonostante ciò, habemus cheasecake perché vicino all'albergo ho scoperto una yogurteria che in vetrina aveva esposta questa bellissima torta che mi chiamava come se fosse stata messa lì per me e le mie capacità di resistenza erano scarse come se mi fossi trovata davanti ad un paio di occhi acquamarina appartenenti ad un ragazzo slavo.
Mangiata la frittata di maccheroni ed in attesa di Jane Eyre in TV per mangiare il dolce newyorkese, ho deciso di concedermi un po' di tempo per riportare le cronache di una studentessa fuori sede - la vendetta.
Ebbene sì, sono di nuovo una studentessa fuori sede, o meglio, lo sarò tra qualche giorno quando sarò di nuovo una matricola. Che poi quando si inizia un Master si può davvero dire di essere una "matricola"?
Ma partiamo dall'inizio, anche se non è proprio l'inizio, in effetti. Sono di nuovo alla ricerca di una casa, che è il mio incubo ricorrente da quando avevo quindici anni e mezzo e probabilmente è una delle dieci piaghe d'Egitto dopo le locuste e la pioggia di ghiaccio e fuoco; la prossima volta che mi metterò in cerca di una casa, dovrebbero darmela ad honorem. Quindi, esattamente come - l'ormai lontano Ottobre 2011 -, sto trascorrendo ancora una volta una notte da sola in una stanza d'albergo e questo mi fa pensare a quante cose siano cambiate nel corso di questi quattro anni e quanto io stessa sia cambiata. Innanzitutto ricordo che le notti trascorse da sola in quell'albergo a Bologna furono un trauma e la prima sera piansi per un'ora da sola abbracciata al cuscino, ora mi abbandono molto più difficilmente a crisi isteriche (disse quella che proprio stamattina ha avuto una crisi isterica e due giorni fa quando ha saputo di essere stata ammessa e tre giorni fa quando pensava invece che non sarebbe mai stata ammessa - reticenza!), ma adesso sono laureata, perciò - almeno in teoria - dovrei essere illuminata dal lume della conoscenza, ho perso circa una ventina di chili per entrare finalmente in una quarantadue e soprattutto sono entrata nell'età in cui il primo numero è un 2 e non più un 1! Inoltre dopo il mio viaggio dell'amore in Serbia, direi che una notte in hotel a Milano non rientri tra le cose più difficili (o improbabili) che abbia fatto da sola.
A proposito del viaggio dell'amore, proprio in quel periodo, a cinque giorni dalla discussione della mia tesi di laurea e ad una settimana dal meraviglioso «Helda Tassi, per i poteri conferitimi dalla legge la dichiarò Dottoressa in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo», ho pensato molto al cosiddetto "post-laurea"; un pensiero che mi ha angosciata per sette mesi per poi diventare un pianto di gioia quando lunedì mi è arrivata la stupenda mail «Gentile HELDA TASSI, siamo lieti di comunicarLe l'ammissione al Master universitario in COMUNICAZIONE MUSICALE».
Ce l'ho fatta! 
Venticinque posti, più di sessanta candidati che per due giorni hanno aspettato come me ore interminabili prima di poter fare il loro colloquio (naturalmente il mio cognome inizia per T, perciò come al solito ero la terzultima del mio giorno... Ma gli ultimi saranno i primi e infatti!).
Io ero certa, sicurissima al punto da iniziare a pensare al suicidio stoico di Seneca, di non averlo superato, e invece la  signorina Tassi ha fatto bene il suo percorso universitario, ha fatto una buona tesi ed ha interloquito adeguatamente al colloquio mostrando chiaramente le proprie idee. Quindi tra quei venticinque ci sono anche io! (Sentito Luca De Gennaro? Ora assumimi e ripristiniamo insieme TRL, I'll be your VJ!)
Quindi, mentre i Negrita rotolano verso Sud, io mi sposto sempre più a Nord, pertanto è probabile che un giorno mi sentirete sulle frequenze di Radio Polo Nord e il mio direttore sarà Babbo Natale.
E se i corsi del DAMS mi entusiasmavano, quelli del Master in Comunicazione Musicale sono l'apoteosi del piacere e sono ancora più impaziente di ricominciare a studiare (conosco persone che mi controllerebbero la febbre se mi sentissero dire una frase del genere, eppure...) e di mettermi alla prova proprio nell'ambito che io ho sempre amato tanto, perciò va bene tutto, io sono carica.
Ora mi godo Jane Eyre mangiando quella deliziosa cheasecake che mi guarda dalla piccola scrivania della mia stanza d'albergo. Ah, per la cronaca, Charlotte è la mia preferita delle sorelle Brontë.


venerdì 9 ottobre 2015

La distanza uccide l'amore

La distanza uccide l'amore, prima o poi.
Perché l'amore non può essere solo canzoni ascoltate in loop anche se fanno male, quel profumo così familiare e messaggi struggenti in cui compare sovente il "mi manchi" e non potrebbe essere altrimenti perché se la persona che ami è distante ti manca allo stesso modo in cui ti mancherebbe l'aria dopo svariati minuti in un posto chiuso e stretto.
L'amore ha bisogno di vedere. Di bearsi della imperfetta bellezza dell'altro, di perdersi nelle sfumature diverse degli occhi e pensare che al mondo non esistano occhi più belli di quelli nei quali riesci a perderti come se fossero un meraviglioso oceano; ha bisogno di vedere la curva delle labbra quando sorride e compiacersi di essere la causa di quel sorriso. Ha bisogno di vederlo collocato su uno sfondo reale ed essere consapevole che per quanto possa essere bello il panorama dietro, lui resta sempre più bello e più degno di tutte le tue attenzione e della meraviglia che ti provoca guardandolo.
L'amore ha bisogno di sentire. Perché quella canzone ascoltata in loop assume armonie diverse se ascoltata insieme, ricordando i momenti in cui quella musica aveva suonato la prima volta, di quel ballo indimenticabile davanti a degli spettatori ignari ed estranei; ha bisogno di ascoltare nuove canzoni da riprodurre successivamente per rievocare altri momenti alla memoria, di sentire il suono della sua risata e quello del suo respiro profondo mentre dorme ed infiniti altri suoni di sottofondo meno influenti. Di sentire soprattutto la sua voce e comprenderne le sfumature differenti.
L'amore ha bisogno di percepire gli odori. Ché quel profumo, anche se impresso nella tua mente in ogni alterazione della fragranza che lo compone, non sarà mai bello come sentirlo su di lui o sui tuoi vestiti dopo essere rimasta a lungo tra le sue braccia. Così come ha bisogno di sentire l'odore del mare o della pioggia. L'odore della sua casa così diverso da quello familiare della tua.
L'amore ha bisogno di assaporare. Perché il ricordo di un bacio, per quanto bello, non sarà che un'ombra sbiadita del sapore di quel primo bacio al gusto di cioccolata e di tutti gli altri che sono seguiti. Di sentire il gusto amarognolo delle pellicine che mangi durante il viaggio per l'ansia e l'attesa di rivederlo dopo tanto tempo. Del sapore di cibi improbabili che lui ti chiede di provare e che, contro ogni previsione, si rivelano davvero buoni.
L'amore ha bisogno di toccare. Non te ne fai niente di continuare a stringerti nella maglia che ti ricorda lui, hai bisogno di sentire sotto le tue mani la durezza delle sue spalle larghe e del petto, la decisione con cui ti abbraccia e, nonostante la sua forza, avvertire il modo in cui quello ti sembra il posto migliore al mondo; ha bisogno di percepire la ruvidità della barba un po' incolta, la morbidezza dei suoi capelli, delle sue labbra sulle tue, del suo corpo. Ha bisogno di intrecciare la tua mano alla sua, di saggiare la comodità di un letto estraneo, dei brividi provocati dal contatto, dello sfiorarsi involontariamente e volontariamente.
L'amore ha bisogno di consumarsi, di bruciare di passione, di litigare fino ad urlare, ché non te ne fai niente delle lettere o delle conversazioni su What's App dove è inutile che urli, che piangi, che imprechi, perché tanto lui non è lì. L'amore ha bisogno di ridere insieme, di "vaffanculo" gridati a pieni polmoni e di "ti amo" sussurrati appena; ha bisogno di "ci vediamo." e non "ci vediamo?" che è tutta un'altra storia. Ha bisogno di essere vissuto.
Ma l'amore è amore e sfugge dalle convenzioni, dagli obblighi e dalle imposizioni e non si lascia comandare ed esiste comunque, anche senza le sue necessità, perché si alimenta da solo e non ha bisogno poi di molto altro. L'amore è amore, nonostante tutto.
La distanza uccide l'amore. O almeno così dicono. Non so l'amore di chi, di sicuro non uccide il mio... Ma forse è l'amore ad uccidere la distanza.

[Sunset from Kalemegdan, Belgrade. 16.03.2015]

martedì 25 agosto 2015

La Grecia è magica

La Grecia io l'ho sempre amata, sarà che forse dopo che ti fanno studiare Omero e i vari racconti della Mitologia alle elementari, alle medie, al biennio del liceo, al triennio del liceo e persino al corso di Drammaturgia all'università, la Grecia inconsciamente la devi amare per forza. Oppure odiare.
Io l'ho amata.
In fondo la Grecia è stata il mio primo viaggio all'estero, okay che dieci giorni prima mi ero rotta ed ingessata il piede quindi ho un po' odiato quella vacanza, però comunque resta il primo posto fuori dall'Italia dove io sia stata. E mi è rimasta dentro.
L'estate scorsa in Grecia è stata la più bella della mia vita perché ho girato per Atene ed ho finalmente visto dal vivo il Partenone, perché ero in un villaggio fantastico, perché mi sono divertita oltre ogni previsione e perché mi sono innamorata. E ci ho messo dodici mesi esatti per riuscire almeno un po' a contrastare il dolore sordo che ho provato nell'istante in cui ho lasciato Eretria l'anno scorso; ci sono riuscita tornando in Grecia, non nello stesso posto anche se avrei voluto e magari non per vacanza, ma per lavorare tre mesi insieme alla persona di cui mi ero innamorata proprio in quel posto, ma non è stato possibile. Questa volta sono andata a Rodi, la maggiore delle isole del Dodecaneso, un'isola piena di storia non solo greca, ma un'intersecarsi di storie e culture diverse che la rendono particolare e bellissima.
La città principale dell'isola è per l'appunto Rodi formata da una parte nuova e da una parte antica, quest'ultima è stata dichiarata tutta patrimonio dell'umanità dall'UNESCO ed è davvero bella; è circondata da mura tardo-medievali risalenti al periodo dei Cavalieri di Rodi (successivamente diventati Cavalieri di Malta) e al loro interno c'è un piccolo mondo in cui la cultura greca, romana e turca si incrociano in strade, monumenti, negozi, moschee e quant'altro che lasciano davvero senza fiato. C'è da dire che Rodi dista appena 18 km da Marmaris in Turchia e risente molto dell'influenza turca; qui - ancora di più che nel mercatino delle pulci di Monastiraki ad Atene - c'è questa perfetta fusione tra Occidente ed Oriente che io trovo incredibile.
Ma da un punto di vista architettonico, io ho preferito molto di più la piccola e caratteristica città di Lindos con le sue stradine strette e le case bianche tipiche delle isole greche che fanno contrasto con il blu-verde del mare meraviglioso alle loro spalle, i negozi di argento e ristoranti che si intrecciano in questo posto suggestivo il cui culmine si ritrova man mano che si sale per l'Acropoli.
Ecco, se arrivare all'Acropoli di Atene è stato per me qualcosa di quasi mistico per quanto ho studiato il Parthenon e quanto ami l'architettura ellenica, devo ammettere che l'Acropoli di Lindos quasi fa concorrenza a quella nella capitale greca.
L'Acropoli di Atene provoca davvero la Sindrome di Stendhal - almeno per quanto mi riguarda -, una volta raggiunto il Parthenon si ha questa vista mozzafiato di tutta la città e si ha la percezione di essere davvero una divinità che domina ogni cosa; l'Acropoli di Lindos, sebbene più piccola, è per certi versi ancora più suggestiva perché le colonne doriche rimaste del tempio di Atena Lindia sono completamente circondate dalle mura di un Castello Bizantino, per cui chi è appassionato di architettura come me, si ritrova ad osservare una struttura architettonica perfetta e perfettamente conservata che racchiude un'altra struttura architettonica, il tutto circondato dal mare incantevole dell'isola che sulla sinistra del tempio forma anche una piscina naturale. Sembra che Lindos ce l'abbia messa tutta per farsi ammirare e lasciare chiunque senza fiato, una piccola città vanitosa che ha tutte le ragioni di esserlo.
Infine un altro posto affascinante che ho visto dell'isola è Prasonisi, una lingua di sabbia che divide il Mar Mediterraneo dal Mar Egeo i quali, durante l'alta marea, si incrociano in un unico mare da un lato più agitato e dall'altro calmo.
Quest'estate non posso esprimere un giudizio molto positivo per il villaggio che in confronto a quello dell'anno scorso è stato parecchio deludente, però questa vacanza è servita a rimarginare almeno un po' le ferite dell'estate scorsa che ancora non si sono del tutto chiuse e che bruciano ancora molto.
E se è vero che ogni estate ha un segreto, il mio di quest'estate è stato un bel segreto, dolce, divertente, completamente pazzo che ha reso un po' pazza anche me. Non ci sono canzoni che me lo ricorderanno, ma solo una frase detta durante il primo esilarante e dolcissimo giro sul Jetski: keep me tight. E io lo terrò stretto a me, nonostante tutto.
Non ho pianto lasciando Rodi, l'ho lasciata godendomi fino alla fine quel mare incantevole che per quanto mi riguarda non ha rivali, mangiando la mia adorata pita gyros e con gli occhi pieni delle meraviglie di quell'isola che mi hanno arricchita un po' di più. Nessuna lacrima, nessun ricordo straziante e nessuna dolore troppo forte, solo un sorriso dolce ed una sensazione di calore su quelle ferite ancora fresche, ma soprattutto la consapevolezza che ho solo detto arrivederci alla mia Grecia che conto di rivedere molto presto.
Eυχαριστώ πάρα πολύ Ελλάδα, σ'αγαπώ.

venerdì 31 luglio 2015

Overthinking.

Smettere di pensare è impossibile.
Il cervello è in attività costante, anche quando si dorme e probabilmente anche con una bella botta ben assestata sulla testa, ma non posso dirlo con sicurezza. Sembra ben deciso ad autogestirsi mentre noi cerchiamo di gestire il 10% di quello che siamo consapevoli di utilizzare, anche se per alcuni soggetti non sono sicura che la percentuale usata sia così alta.
Non solo smettere di pensare è impossibile, ma smettere di pensare a qualcosa a cui non si vorrebbe affatto pensare è addirittura ridicolo, sembra che il cervello ti rivolga uno sguardo sarcastico e prenda la tua decisione di smettere di pensare a qualcosa come una sfida personale che, ovviamente, vince.
Perciò provare a forzare se stessi a non pensare a qualcosa è un ottimo modo per far sì che il cervello continui a pensarla con maggiore intensità, in un circolo vizioso senza fine in cui tu non sei mai la vincitrice.
L'overthinking del cervello sembra poi coalizzarsi con alcuni "fattori esterni", fattori come una canzone che passa alla radio mentre tu sei distratta e ti risveglia dal tuo beato torpore con uno schiaffo in piena faccia che ti lascia stordita e confusa a chiederti cosa hai fatto di male per meritarlo; ma anche un profumo che tu pensavi fosse unico e chissà come alcuni elementi dell'aria, dell'ambiente e dell'universo intero che se la ride tantissimo ad osservarti, l'hanno riprodotto perfettamente. Se poi si aggiunge pure un like a caso su Instagram da una persona sconosciuta a caso all'una di notte mentre tu sei fuori con le amiche, allora il quadro è completo perché tanto è matematicamente sicuro che tu faccia lo sbaglio di vedere qual è la foto in questione ed ecco che hai involontariamente porto l'altra guancia per colorarla con un'altra bella sberla. Seicentoquindici fotografie su Instagram e il like va a quelle risalenti ad un anno prima, quelle che fanno proprio male.
Niente, sei costretta a pensare all'infinito a quella cosa!
Ma in fondo la colpa è tua, perché sotto sotto tu vuoi pensarci, anche se ti fa star male, perché in fondo sei masochista e un po' ti piace crogiolarti nel tuo dolore sordo mentre ripensi ad un bacio al gusto del cioccolato dato di nascosto, a quella particolare canzone, ai sorrisi che si formavano involontariamente sul tuo viso quando incontravi quegli occhi dello stesso colore del mare, ai risvegli più felici in un letto estraneo. Non puoi dimenticare e, pure se ci riuscissi, tu non vuoi affatto dimenticare.
Perché come potresti dimenticare qualcosa che ti ha resa così felice anche se adesso preferiresti fare bungee jumping senza corda dall'Empire State Building?
Dimenticare è assolutamente fuori discussione perché quelle canzoni, quei profumi, quelle immagini, sono la testimonianza più tangibile che è stato tutto vero, che è successo e che volente o nolente ti ha investita in pieno.
Non importa quante lacrime continuerai a versare anche nel cuore della notte quando i singhiozzi ti sveglieranno da un sogno dolorosamente bello o quante altre notti insonni trascorrerai abbracciando il cuscino che è l'unico surrogato disponibile per fingere di abbracciare qualcos'altro, di più solido e meravigliosamente più vivo o quante volte pregherai Afrodite affinché ti riporti ciò che per un po' ha reso tuo, la tua mente tornerà sempre a quei pensieri e tu continuerai a dare la colpa a quella stupida attività involontaria del tuo cervello, ma sai benissimo che sei la carceriera di te stessa perché non fai altro che alimentare questa attività in un tripudio di film mentali con tanto di copione, effetti speciali e colonna sonora che, se Leonardo Di Caprio fosse il protagonista, vincerebbe per la prima volta l'Oscar.
Intrappolata nei tuo pensieri e in qualcosa che sembra lontano anni luce e che si allontana sempre di più senza che tu possa farci proprio niente.
Stop.

martedì 21 luglio 2015

Giffoni Film Festival 2015 - Carpe Diem

Erano anni che desideravo andare al Giffoni Film Festival, sia da fan che magari anche da giurata, ma il primo anno che mi è venuta quest'idea poi sono partita per una disastrosa stagione d'animazione in un villaggio turistico a Castellaneta Marina, poi ho avuto la maturità, poi mi sono trasferita a Bologna e non avevo idea di quando la mia sessione estiva sarebbe terminata e poi quest'anno... vabé, lasciamo perdere... Probabilmente l'anno prossimo mi sentirò troppo vecchia, quindi sono contenta di esserci andata almeno da fan oggi.
Quest'anno il GFF aveva ben tre ospiti per cui io avrei potuto tranquillamente vendere l'anima al Diavolo pur di vederli: Darren Criss, Tom Felton ed [il mio futuro marito*] Orlando Bloom; dovevo andarci! Quindi grande giro di telefonate e messaggi What's App e niente, chi non poteva, chi aveva gli esami, chi era scoraggiato dal caldo e quindi ciao, ci vado da sola.
Avete mai provato a dire a qualcuno che sareste andati da soli da qualche parte che sia un concerto, una piadineria o al parco? A me è capitato spesso e mi sono sempre ritrovata ad essere fissata da occhi sgomenti ed espressioni peggio ancora, manco fossi la Piccola Fiammiferaia. «Vai tu da sola? Ma come fai? Io non potrei mai!»
Ecco, non vi è mai venuto in mente nemmeno un pochino che forse (e dico forse, eh!) non sono io ad essere strana se vado da qualche parte da sola, ma siete voi gli strani se avete questo bisogno costante dell'altro e vi precludete cose belle pur di non dover affrontare la solitudine? No eh.
Naturalmente ogni mia decisione è seguita da circa cinquantacinque paranoie in cui sono arrivata pure a pensare che con questo caldo e la mia pressione bassa potevo svenire per strada e morire a Giffoni senza che nessuno lo sapesse, meglio di una tragedia greca! Fortuna che la realtà è sempre meno catastrofica di come si presenta nella mia mente perché altrimenti potrei essere il nuovo Oracolo di Delfi o la nuova profetessa dei Maya.
Dopo una notte in bianco in cui il caldo e l'insonnia si sono coalizzati per farmi dormire solo due ore e mezza (dall'una alle due e mezza e dalle sei alle sette), stamattina mi sono fatta la doccia più ghiacciata della storia sperando che bastasse a combattere il caldo di una giornata fuori - sono un genio, ma non ha funzionato - e poi ho preso un autobus per raggiungere la Vesuviana che ho aspettato per tre quarti d'ora, un treno per Salerno ed un bus per Giffoni Valle Piana; ma d'altronde sono andata in Serbia da sola, Giffoni non poteva poi spaventarmi. E stranamente non ho avuto problemi con i mezzi, nessuno sciopero nazionale che rischiava di non farmi partire e nessun terminal dell'aeroporto incendiato, grandi progressi!
La ragazza seduta accanto a me in autobus mi dà il lei («Lei a che fermata deve scendere?»), l'ho guardata talmente male che se ci avessi messo ancora un po' più di impegno l'avrei incenerita, poi una terribile consapevolezza fa breccia dentro di me: cazzo, non sono più una pischella!
E invece sì, ho ancora i miei idoli, le mie cotte improbabili ed ascolto Taylor Swift quando sono felice; sono un'adolescente in piena regola e il ventidue (vabé, ventidue e mezzo, come siete fiscali!) è davvero solo un numero.
Arrivata a Giffoni però si bilanciano le cose, non sembro tanto più vecchia della miriade di ragazzi presenti nella Cittadella del Cinema, anzi, ho visto donne (intendo proprio donne, Milf per intenderci sull'età) fare più moine di me per Tom Felton. Perché quel posto in provincia di Salerno è così, rende tutti adolescenti; non ne avevo idea, naturalmente l'avevo sentito dire da chi c'è stato, ma è qualcosa che non si capisce finché non ci si trova lì, eravamo tutti ragazzini a prescindere dall'età, tutti eccitati di essere lì in quel posto magico che trabocca di emozioni e di sorrisi e di celebrità che lanciano sorrisi a loro volta emozionati sul Blue Carpet.
E Tom Felton è quanto di più lontano da Draco Malfoy il Serpeverde Purosangue ci sia al mondo e, per appropriarmi della definizione attribuitagli da una ragazza, direi che è un patato tenero. Scherza, sorride, si emoziona e chiede persino un Chupa Chups durante l'intervista. E io mi ritrovo lì ad osservarlo con un sorrisone perché lui è parte di qualcosa che ha caratterizzato la mia infanzia e che continuerà a far parte di tutta la mia vita: Harry Potter. E mi sono resa conto di essere circondata da Potterhead, alcuni con il ciondolo dei Doni della Morte, altri con le maglie delle varie case di Hogwarts o con il Marchio Nero e persino con delle bacchette (ehi, quella che ho visto era la vera Bacchetta di Sambuco?). D'accordo, da dove ero io sono riuscita a vedere al massimo la miniatura di Felton, ma credo di essere davvero troppo cresciuta per sopportare di essere schiacciata alle transenne e poi non ero l'unica, da lì cercavamo tutti un modo per poterlo vedere bene, è bastata un'occhiata complice e una tipa ha suggerito il Levicorpus e da lì solo risate.
Se il mondo di Harry Potter fosse reale - mi spiego meglio: se il mondo non fosse popolato da Babbani ingenui che affermano il contrario -, Tom Felton oggi si sarebbe beccato, oltre all'incantesimo Levicorpus, svariate dosi di Amortentia celata magari in cioccolatini ed un paio di Maledizioni Senza Perdono di cui una Maledizione Imperius affinché lui potesse raggiungere una ragazza e baciarla: «Ma le Maledizioni Senza Perdono ti assicurano un biglietto di sola andata per Azkaban!» «Farei di tutto per Tom Felton, rinuncerei persino a Giovanni della 3B [il bello della scuola della ragazzina che parlava, probabilmente. NdR].» «Ma dai, non esagerare. A Giovanni si può rinunciare, a Tom NO
Sorrisone. Sì, forse sto davvero crescendo, ma ricordo anche io quanto sperassi di poter sposare uno dei miei idoli e, all'epoca, avrei concluso almeno una ventina di matrimoni, davvero un record per una che ora non sognerebbe mai di sposarsi (*Orlando Bloom a parte).
E, se il tema di Giffoni di quest'anno è Carpe Diem, io il mio attimo l'ho colto manco per il cazzo, l'ho visto passare davanti a me e mentre lo stomaco mi si accartocciava ed il cuore imparava a ballare il Tip Tap e l'ho guardato andare via senza fermarlo. Ed era proprio un bell'attimo. Ma pazienza, proverò a farmi dare una GiraTempo o magari imparerò ad essere più veloce con i miei "attimi".
Nonostante la stanchezza, la solitudine (e chissà il perché mi viene in mente il primo verso della canzone che ha portato al successo la Pausini!), il caldo torrido, i 394 litri d'acqua, il sudore che mi ha fatto arrivare a casa con lo stesso tanfo delle alghe essiccate al sole, sono contenta di aver colto almeno questo attimo ed essere andata al Giffoni Film Festival e la teenager che è in me spera che questa non sia stata la prima e l'ultima volta... Per il momento: fatto il misfatto!

venerdì 26 giugno 2015

#LoveWins

Oggi, 26 Giugno 2015, diventerà una data importantissima nella storia contemporanea. Anzi, in realtà lo è già.
Oggi la Corte Suprema negli Stati Uniti d'America ha stabilito che le varie leggi statali contrarie ai matrimoni omosessuali sono incostituzionali, pertanto i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono legali in tutti i cinquanta Stati. Portando così a circa sessantaquattro il numero degli Stati nel mondo in cui le nozze gay sono legali, ma soprattutto rendendo appena un po' più civile questo mondo che, proprio al culmine della sua civiltà tecnologia, diventa ormai sempre più incivile sotto tutti gli altri punti di vista.
Questo non significa che l'America sia diventata - o ritornata ad essere -  il paese delle meraviglie e lungi da me idolatrarla eccessivamente. L'America (e per America intendo il territorio vastissimo che ricopre gran parte del continente settentrionale in cui si distendono gli Stati Uniti) ha ancora numerose contraddizioni abbastanza schifose che andrebbero cambiate; certo, gli americani sono uniti ed estremamente patriottici, chiunque in casa ha la Bandiera e sebbene ci siano svariate differenze tra i vari Stati, ci sono delle tradizioni di base uguali per tutti, questo perché gli americani non sono un popolo vero e proprio, sono un agglomerato di altri popoli - soprattutto europei - che hanno sterminato le popolazioni precedenti ed hanno dovuto necessariamente trovare una nuova identità. Nel corso dell'ultimo secolo l'Europa si è "americanizzata" sotto tanti punti di vista, ma se anziché importare i fast-food, avesse preso più alla lettera il concetto di "Stati uniti", oggi quella che ci ostiniamo a chiamare "Unione Europea" cercherebbe di essere davvero unita e non solo grazie a una moneta, anzi, quello dovrebbe essere quasi l'ultimo dei problemi. Ma gli europei tanto diversi che si sono unificati una volta diventati americani, continuano invece a restare caparbiamente diversi nel Vecchio Continente.
Ma l'America non è solo il Paese del Rock 'n' Roll, dei blue-jeans, di Hollywood e quant'altro (giusto per citarne qualcuna), è anche il posto in cui se il tuo reddito è troppo basso per ricoprire le spese mediche, tu non puoi essere curato in un ospedale; è il luogo in cui Stati la cui maggioranza della popolazione è di colore, hanno paradossalmente una maggioranza di caucasici nelle forze dell'ordine, pertanto il razzismo è tuttora uno dei problemi principali e solo di recente ha visto numerose vittime innocenti; è il Paese che si fa carico di risolvere il problema delle guerre facendo "spedizioni di pace" che prevedono bombardamenti su civili senza colpa.
E potrei andare avanti così per molto tempo.
Tuttavia, in seguito alla legge odierna che è già storia, l'America sicuramente ha dimostrato di essere ancora una volta avanti e molto più aperta rispetto ad altri paesi, che ancora festeggiano la giornata della famiglia tradizionale. A soli otto giorni dalla ricorrenza dell'Independence Day, oggi gli americani sono un po' più liberi.
Con la legge che stabilisce che chiunque ha il diritto di sposare la persona amata, qualsiasi essa sia, in qualsiasi luogo desideri, entrata ufficialmente in vigore oggi, l'America dovrebbe iniziare a considerare di eliminare quel cazzo (scusate il francesismo) di Secondo Emendamento e allora il "sogno" di cui parlava Martin Luther King potrebbe davvero realizzarsi.



domenica 21 giugno 2015

Sono una tipa molto strana...

«Sono una tipa molto strana. 
Ci sono giorni che voglio disperatamente un abbraccio ed altri che se mi tocchi, ti uccido.
Sono cresciuta con la diffidenza stampata nel cuore, ma poi mi aggrappo a chiunque mi dia un briciolo d'amore. Sono malata di incompletezze ed illusioni. Ho degli sbalzi d'umore assurdi. Ogni volta che cerco di allontanare qualcuno sono terrorizzata all'idea di riuscirci davvero. Ho migliaia di difetti cuciti addosso. Ho l'estate nel sorriso e l'invero negli occhi.»



[Non so di chi sia questa frase, l'ho semplicemente letta in qualche blog di qualche ragazzina disincantata che, come me, l'ha precocemente preso a quel servizio dalla vita. O magari finge molto bene e, questo, glielo auguro (semplicemente perché stare a novanta dopo un po' non è poi così piacevole, per non parlare del mal di schiena e di tutto il resto). Però mi sembrava una frase molto puntuale, pertinente. Sembra quasi uno specchio in cui rivedo perfettamente il riflesso del mio terribile caratteraccio, in tutto il suo "splendore", con tutte le sue ossimoriche contraddizioni che mi rendono insopportabile persino a me stessa nella mia costante permalosità, impulsività e testardaggine.]

giovedì 11 giugno 2015

Strega Cattiva.

L'Uomo Nero, i Mostri, la Strega Cattiva... Quelle figure inesistenti che tormentano l'infanzia di ogni bambino, nella sua irrazionale paura del buio perché il buio è quel posto in cui tutto può nascondersi, tutto può succedere.
L'Uomo Nero può celarsi in chiunque, nel compagno di classe sadico, nel sorriso falso di qualcuno che ti illude promettendoti la più bella delle case e poi lascia che tu vada all'Inferno, nei genitori che ti chiedono di scegliere...
Poi si cresce e si smette di vedere la Strega Cattiva in chiunque, si diventa abbastanza forti per ridere a quell'osservazione tagliente sul tuo corpo o di quel sei meno meno in Inglese che sarebbe rimasto tale sul registro perché tanto nulla avrebbe potuto cambiare l'idea di te che si era fatta quell'insegnante. I Mostri si celano dovunque, bisogna solo imparare a conviverci e possibilmente ad ignorarli, come una macchia di umidità nell'angolo più remoto della stanza.
E allora impari anche ad amare il buio, a preferirlo addirittura, perché sei diventata più brava di tutti a nasconderti nel buio, a renderlo tuo complice, il custode delle tue lacrime silenziose e il compagno di giochi con cui affronti meglio l'insonnia.
Al buio si acuiscono i sensi, la musica è più bella e la sua assenza è ancora più terribile; si riesce persino a pensare meglio e a conoscere l'Uomo Nero, studiarne le debolezze e le paure.
E allora il buio non è più fonte di paura, ma il tuo migliore amico.
Ancora adesso però ci si scopre, di tanto in tanto, a scappare via dai Mostri, a cercare di mettere molta distanza tra loro e te fino a voltarti e vedere solo un'ombra lontana, un'ombra familiare però. Forse non sapresti dire dove l'hai già vista, ma è inutile fingere che sia la prima volta che la noti sottocchio, perché la riconosci. Un po' come il ricordo sbiadito di un sogno, come quello in cui ti ritrovi a portare per mano te stessa da piccola e a detestare la sua felicità mentre insieme avanzate verso un vecchio lunapark abbandonato che un tempo era un posto dove ti divertivi, ma ora assomiglia più allo scenario di un film Horror.
E cosa succede allora quando ti rendi conto che la Strega Cattiva sei tu?
Che per quanto tu possa scappare, spostarti da un posto all'altro e cambiare continuamente, non potrai mai scappare da te stessa? Perché quell'ombra familiare che ti segue ogni volta che scappi via non è altro che la tua ombra e non può fare a meno di seguirti in qualsiasi tuo spostamento.
Allora non puoi semplicemente ignorare la Strega Cattiva né escogitare un'altra delle tue fughe, perché la Strega Cattiva sei tu e non puoi fare altro che affrontarla. Affrontarti.

venerdì 5 giugno 2015

Silenzio.

Mi sento come se qualcuno improvvisamente avesse spento tutta la musica, per di più proprio mentre stavo ascoltando la strofa più bella della mia canzone preferita.
E ora è silenzio.
Non è un silenzio calmo, rilassante, è un silenzio che urla forte e ed è assordante e fa male, come lo stridere del gesso sulla lavagna, solo moltiplicato per cento. Mille.
Le notti scorrono tra il desiderio di dormire e far tacere il silenzio e l'insonnia che invece lo fa sembrare ancora più forte, che ti sveglia all'improvviso nella notte, mentre un dolore ti prende al petto come se avessi ricevuto una martellata proprio lì, in corrispondenza del cuore, la gola si chiude ed altre lacrime tornano a scottare il tuo viso. Così, notte dopo notte, anche quando sei troppo stremata e continui a dormire, il dolore è sempre lì e anche il silenzio.
E non importa quante volte provi a contrastarlo cercando di far ripartire la musica, non riesci più ad ascoltarla, ti arriva distorta, come se gli amplificatori fossero rotti e quel suono ti infastidisce e allora la spegni perché quasi quasi è meglio il silenzio. Perché la musica ti fa ancora più male, perché anche se non ha nessun riferimento, comunque ti evoca alla memoria ricordi che devi assolutamente controllare perché rischiano di spezzare quel minimo di autocontrollo che il robot che ha preso il tuo posto è riuscito ad importi. E allora anche il rumore del mare che si infrange sulla riva fa risuonare nella tua mente quella voce, un po' come la madeleine per Proust, la tua memoria involontaria si attiva così e ti trascina nel baratro, dove un paio di occhi acquamarina ripetuti all'infinito come in un gioco di specchi, ti fissano, distanti.
E io vorrei solo essere capace di mettere play ancora e far partire la musica, perché sono una musicofila, una musicologa ed una musicista e come potrei vivere senza musica?

mercoledì 13 maggio 2015

Bruxelles, il viaggio dell'avventura.

Credo che i viaggi migliori sono quelli che decidi di fare all'ultimo minuto.
I miei ultimi tre viaggi all'estero sono stati più o meno così. Con mia madre, quasi un anno fa esatto, avevamo deciso appena tre settimane prima di andare in Grecia, un po' "ad cazzum" - come direbbero i latini - e non solo Atene si è dimostrata una delle città più belle che abbia avuto la fortuna di vedere, ma quella è stata senza dubbio l'estate migliore della mia vita, almeno fino ad ora (e spero che la prossima sia anche meglio!); per quanto riguarda il mio primo viaggio da sola lo scorso marzo, in Serbia, quello era stato ancora più impulsivo dato che l'avevo prenotato appena cinque giorni prima di partire e, quel viaggio, è stato insuperabile.
E poi c'è stato il soggiorno Belga, la settimana scorsa. L'idea era nata quasi per gioco, probabilmente dalla comune necessità di evadere un po', di prenderci una pausa dallo studio appena concluso o ancora in atto... Di andare. 
«Ma se facessimo un weekend fuori?», la domanda è nata così, in un pub e due giorni dopo eravamo quattro amiche al bar davanti ad un computer a cercare le offerte migliori per i voli per poi partire circa venti giorni dopo.
Se poi decisioni del genere non le prendi da sola, ma con delle amiche che dal liceo sono diventate importanti nella tua vita, allora il gioco è molto più divertente. Inizialmente dovevamo essere quattro, ma poi si è aggiunto un altro componente.
La sfiga.
Ma la sfiga mi piace trasformarla in sfida e, generalmente, non mi piace perdere le sfide.
Per cui quando mi è arrivato il messaggio riguardo all'incendio che si era propagato in uno dei Terminal dell'Aeroporto di Fiumicino da dove, guarda caso, dovevamo partire noi il mattino successivo e che, guarda caso, era proprio il Terminal da cui decollava il nostro volo, non mi sono sorpresa più di tanto. D'altronde due giorni dopo aver prenotato il volo per Belgrado è stato indetto sciopero nazionale dei trasporti, quindi non c'è da meravigliarsi!
La partenza è stata in forse fino alla fine. Prima il volo era stato cancellato, poi spostato a Ciampino, poi partiva di nuovo dal Terminal 3, ma poi alle cinque del mattino il Terminal 3 esalava ancora puzza di fumo, quindi siamo stati spostati al T1 da cui - finalmente - siamo partite, naturalmente senza dimenticare di aver passato una nottata quasi in bianco (se non si calcolano gli scomodi momenti stese sulle bilance dei Check In per pesare le valige da imbarcare), con l'ansia a mille e tutta quella marea di gente che popolava l'aeroporto principale di Roma durante quella notte.
Siamo arrivate a Bruxelles che eravamo già delle zombie e, girare la città per tre giorni, quasi senza tregua, riuscendo a vedere praticamente quasi tutto anche se talvolta non in modo approfondito come avrei preferito, è stato da supereroine. E devo dire che noi lo siamo state davvero.
L'antico vaso andava portato in salvo. Sembrava impossibile, ma ce l'abbiamo fatta!", come direbbe la pubblicità dell'Amaro Montenegro (giusto per restare in tema di Balcani, dove ho lasciato il cuore).
Siamo persino riuscite a prendere il treno da Fiumicino a Tiburtina ed arrivare in tempo (addirittura in anticipo!) per l'Italo che ci doveva riportare a Napoli. Fantastico!
Un viaggio con le mie amiche era quello di cui avevo bisogno, anche solo per dare una tregua all'eterna lotta che Giacomo Leopardi e Walt Disney stanno facendo in me. 
Ma devo essere sincera, tra le città all'estero che ho visitato, Bruxelles per ora è all'ultimo posto. In effetti mi aspettavo molto di più, non ci sono stati momenti in cui il mio respiro si è completamente bloccato come a Londra tra gli scoiattoli del St. James Park o nel quartiere di Montmartre a Parigi e come quando sono arrivata al Parthenon ad Atene o a Kalemegdan di fronte all'incredibile panorama da cui si vedeva tutta Belgrado.
Bruxelles è bella, indubbiamente, ma non stupenda. È anche una città molto contraddittoria, per certi versi: tanto lussuosa, con prezzi esorbitanti più o meno ovunque, ma con le metro invase dai clochard già dalle sei e mezza del pomeriggio, spesso indecentemente sporche, cosa che non mi sarei mai aspettata dalla sede del Parlamento Europeo. E poi è dispersiva, insomma, non è facile girarla con linearità.
Però ci sono anche molte cose belle. La Grand Place è incredibile, così come l'immensa distesa di verde che ricopre gran parte della città, dei fumetti nascosti e sparsi un po' ovunque e delle molte e bellissime chiese, tra cui la più bella che a mio dire è quella del Sacro Cuore proprio accanto al nostro hotel. Ecco, la zona dell'hotel, adiacente al Parc Elizabeth, credo sia stata tra le mie preferite e la prima sera lì, durante la Fête du printemps, credo sia stata tra i momenti che ho apprezzato di più. Tra patatine e birra belga e dei meravigliosi fuochi d'artificio accompagnati dalla musica. Spettacolo pirotecnico che, soprattutto durante "Summer" di Calvin Harris, mi ha riportata altrove, a quel 15 e poi 22 agosto 2014 all'Eretria Village.
D'altro canto invece sono rimasta abbastanza delusa dal tanto decantato Atomium che a parer mio è stato quasi una perdita di tempo (e di soldi) dato che non è nulla di speciale e, anche il panorama che si vede una volta saliti sull'ultima "palla" dopo aver fatto una fila interminabile, non è poi granché. Insomma, ho visto panorami decisamente più belli...
Paradossalmente penso che altre città del Belgio, come Brugge ad esempio, siano molto più carine e caratteristiche della Capitale; al contrario però dei parigini, ho trovato gli abitanti di Bruxelles (brussellesi?) molto cordiali, erano infatti spesso loro stessi a chiederci se avevamo bisogno di informazioni e non si dimostravano acidi nei confronti dell'inglese, probabilmente proprio perché da loro c'è il Parlamento Europeo e perché lì c'è la doppia lingua (di cui, confesso, la seconda - quel mélange di francese e tedesco - ancora non mi è molto chiara. Cos'è, fiammingo?)...
Ad ogni modo sono contenta di aver fatto questo viaggio che non solo mi ha permesso di visitare una città nuova, comunque affascinante, in cui ho passato dei bei momenti con le mie amiche ed ho pensato un po' meno ad altre questioni che ultimamente mi tormentano.
E, per fortuna, dopo gli ultimi due viaggi, questo è stato il primo in cui al ritorno non ho fissato la brutta tappezzeria del sedile di fronte al mio, piangendo e cercando di sopportare un dolore che sembrava volermi inghiottire.
Ora aspetto con ansia il prossimo viaggio e la fantastica sensazione di vuoto allo stomaco quando l'aereo decolla. 

mercoledì 15 aprile 2015

Fine del capitolo.

La prima volta che sono andata a Bologna avevo quattordici o quindici anni, avevamo un concerto a San Lazzaro di Savena e il giorno dopo, come sempre, mio padre mi aveva portata a fare un giro per il centro. Fu in quel momento che pensai che quella sarebbe stata la città dove volevo passare una parte della mia vita. 
Me n'ero innamorata.
Era luglio e Bologna era calda e afosa come sempre d'estate, ma Via Zamboni - la strada dell'Università - era ancora popolata di ragazzi indaffarati; allora agognavo l'università pensando a quanto sarei stata libera, non immaginavo che quei ragazzi che camminavano per la zona universitaria fossero ancora impegnati a studiare mentre io, liceale, ero già in vacanza. 
Bologna è stata il mio chiodo fisso per tre o quattro anni, io dovevo andare a studiare in quella bella città rossa.
Poi è arrivato l'anno della maturità e, mentre tutte le mie amiche avevano idee probabilmente più concrete delle mie, io ero ancora decisa ad iscrivermi al DAMS di Bologna, incurante degli svariati contro che c'erano. Uno dei miei peggiori difetti (o forse pregi, non saprei) è la caparbia, quando mi metto una cosa in testa, la devo fare a tutti i costi e persevero finché non la ottengo.
Poi, ormai diplomata da un paio di mesi, c'è stato un altro concerto a Bologna, in quella Piazza Grande della canzone di Dalla che fino a pochi giorni fa non ho mai attraversato in orizzontale per scaramanzia, la stessa che accomuna tutti gli studenti dell'Alma Mater Studiorum. E il giorno dopo, il 5 settembre 2011, sono diventata il numero 0000626926, matricola al primo anno del corso di studi Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo - DAMS della Facoltà di Lettere e Filosofia all'Università di Bologna.

Credevo che, già solo per essere diventata quel numero, il mio percorso ormai sarebbe stato in discesa, ma non potevo sbagliami di più. Non avevo affrontato salite più ripide di quella che è stata "la vita a Bologna", però il panorama che ho visto alla fine è stato incredibile e impagabile!
Oggi, a distanza di tre anni e sette mesi da quel giorno in cui sono diventata un numero tra i tanti, dopo una vita passata a Bologna e la voce di un professore di musica che mi proclamava Dottoressa in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo che ancora mi rimbomba nella mente, sto prendendo per l'ennesima volta un treno ad alta velocità per tornare nella città che in questo periodo universitario mi ha adottata. Per l'ultima volta. O meglio, per l'ultima volta da studentessa dell'Alma Mater. Si conclude così un altro capitolo della mia vita, forse uno dei più belli finora; ma sono una sedicente scrittrice e so benissimo che iniziare a scrivere un altro capitolo porta sempre a sorprese e novità inaspettate che si scoprono solo man mano che si va avanti con i paragrafi.
Rispetto alla ragazzina appena maggiorenne che ero quasi quattro anni fa, mi sento un'altra persona. Somiglio di più ad una giovane donna che ha imparato ad affrontare in modo diverso le avversità, rimboccandosi le maniche e cercando di risolverle senza appoggiarsi ad altri; che non ha paura della solitudine o di sognare troppo perché ora crede molto di più in sé; una che, contro ogni previsione, ha imparato a cucinare e lo fa pure bene e che, paradossalmente, ha le idee molto meno chiare rispetto a prima.
Bologna non è più il mio posto e, come è giusto che sia, devo andare via, sistemare tutte le mie cose e le mie esperienze nei pacchi e nelle valige ed andare avanti verso un altro viaggio ed una città per cantare.

giovedì 2 aprile 2015

31 days of happiness.

Marzo 2015.
(Ovvero 31 giorni di felicità)
Ricorderò per sempre questo mese, non vorrei essere azzardata con definizioni eccessive visto che auspico ad un'esistenza un po' più lunga dei soli ventidue anni e tre mesi, ma potrei benissimo definirlo il mese più bello della mia vita (almeno finora).
È stato un mese frenetico e, purtroppo, eccessivamente veloce quando invece avrei voluto che ogni minuto durasse almeno il triplo per ricordare bene ogni momento, come lo slow-motion in una scena particolarmente importante di un film affinché questa resti impressa nella mente dello spettatore. Invece è già passato, lasciandomi però ricordi indelebili e forti.
Il mese appena trascorso è stato un alternarsi di ansie che poi si sono tutte trasformate in "banana smile" facendomi provare un concentrato di emozioni forti, belle anche se molto diverse tra loro.
I giorni prima della discussione della tesi sono stati letteralmente un incubo: ho ripetuto quel discorso così tante volte da rischiare di arrivare lì, il 9 Marzo, senza voce; per non parlare degli incubi che mi vedevano protagonista di catastrofiche discussioni in cui mi venivano poste domande improbabili che non ricevevano risposta. Ma è tutto normale. Di una cosa sono certa: l'aspettativa è decisamente più alta rispetto alla maturità, anche se quest'ultima è stata sicuramente peggio. All'esame della maturità c'è da aspettarsi qualsiasi domanda, su svariate materie oltre a quelle sulla tesina (e si può essere bocciati), alla discussione di laurea è già tutto fatto, tutto deciso e la tesi è personale, dopo aver passato mesi a leggere libri, articoli e siti su quell'argomento, si suppone che tu lo sappia molto più di chiunque altro o comunque abbastanza da non avere problemi.
Inoltre vedere i miei genitori insieme, cordiali e addirittura simpatici, dopo tanto tempo è stato probabilmente uno dei più bei regali che potessi ricevere.
Il giorno dopo la discussione ho poi prenotato l'aereo per andare in Serbia e sono partita esattamente cinque giorni dopo la prenotazione. Il mio primo viaggio all'estero da sola, la decisione più folle, impulsiva, avventata e meravigliosa della mia vita, ma che dovevo assolutamente fare e infatti non potrò mai pentirmene. Sono stati tre giorni e mezzo fantastici, della Serbia mi è piaciuto praticamente tutto (dai posti, al cibo alle persone) e non potrò mai dimenticarla. Per vari motivi, forse soprattutto perché lì ho ritrovato il mio cuore che avevo involontariamente lasciato ad Eretria ma, sbadata come al solito, l'ho dimenticato ancora. 
Tornare in Italia è stato difficile perché lì c'era tanto da lasciare ed è stato doloroso. E continuerà ad esserlo ancora a lungo. Sebbene ci siano numerosi altri posti al mondo che voglio visitare, quel paese dei Balcani avrà sempre un posto particolarmente speciale nel mio cuore e spero di poter farvi ritorno, molto presto... Nonostante la Easyjet da ieri abbia definitivamente cancellato la tratta Milano-Belgrado e viceversa.
Se la discussione della tesi è stata fonte di un'ansia distruttiva al punto da essere in qualche modo appropriata, la proclamazione è stata commovente. Sì, quando uno dei professori della commissione ha detto «Per i poteri conferitimi dalla legge la dichiaro Dottoressa nelle Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo» non ce l'ho fatta e sono scoppiata in lacrime. Lacrime di gioia, che hanno racchiuso tutti questi anni trascorsi a Bologna, difficili, belli, inaspettati, forti ed indimenticabili. Ho raggiunto un grande traguardo, ma quando mi sono ritrovata con la coroncina di alloro con il nastro bianco a simboleggiare la mia facoltà, mi sono resa conto che il meglio deve ancora venire.
Infine c'è stata la mia festa a Napoli, con [quasi] tutte le persone che amo e che, per un motivo o per un altro, hanno svolto un ruolo importante nella mia vita, con pochissime assenze che non erano lì per cause di forza maggiore, ma mi piace pensare che non lo fossero solo fisicamente. E festeggiare sentendo tutto quell'affetto è stato insuperabile.
Che grande, meraviglioso e sorprendente mese che è stato questo Marzo 2015, pieno di sorrisi, di felicità, di amore, di soddisfazioni e sogni.

domenica 29 marzo 2015

Il diritto d'autore: dal recording al live.

In questo lavoro ho analizzato da diversi punti di vista il diritto d'autore, un istituto giuridico che ha il fine di tutelare le opere di ingegno, ovvero tutte quelle legate alla musica, all'arte, alla letteratura, al cinema, al teatro e anche alle scienze.
Ho scelto di occuparmi di questo argomento perché di frequente si pensa alla musica, al cinema o all'arte in generale come “passatempo”, dunque il lavoro dell'artista – in qualsiasi ambito adoperi – è istituzionalmente e spesso anche socialmente considerato di poco rilievo. Non a caso la pirateria, ovvero l'appropriazione totale o parziale di opere d'ingegno, è un fenomeno sempre più diffuso che non è solo dannoso per il mercato musicale, cinematografico, ecc., ma è anche un chiaro esempio della poca considerazione che generalmente si ha nei confronti di questi settori sebbene la musica, il cinema, i libri e quant'altro caratterizzino la vita di tutti i giorni di chiunque. Da qui dunque deriva la scelta di questo argomento, essendo però una musicologa e non una giurista, la mia analisi non entra nello specifico della legislazione in materia, di cui pure mi occupo sebbene in maniera non minuziosamente approfondita, bensì il mio elaborato si propone di offrire una panoramica del diritto d'autore nel suo aspetto storico, nella sua interazione con il digitale ed infine nell'ambito della musica dal vivo, dunque dal recording al live.
Pertanto è necessario sottolineare che il diritto d'autore non tutela né l'idea né l'eventuale supporto materiale che la contiene, bensì la forma espressiva che l'autore conferisce ad una particolare idea rendendola percepibile all'esterno, dunque unica in qualche modo.
Questo diritto e i vari annessi, spettano generalmente all'autore dell'opera d'ingegno a meno che questa non sia stata commissionata da terzi o realizzata per soggetti pubblici o privati che non perseguono scopo di lucro. All'autore vengono attribuiti diritti morali come il diritto di paternità e il diritto di integrità dell'opera, che hanno il fine di tutelare la reputazione dello stesso e diritti patrimoniali affinché egli possa trarre un guadagno dalle proprie creazioni. I primi sono irrinunciabili, imprescrittibili e intrasmissibili e possono essere esercitati anche da eventuali eredi, i secondi invece hanno durata limitata, ovvero tutta la vita dell'autore più settant'anni dopo la sua morte alla fine dei quali l'opera diventa di pubblico dominio.
Ma il diritto d'autore, rispetto ad altri istituti giuridici, è una conquista piuttosto recente. Un iniziale interesse a tutelare le opere d'ingegno, infatti, si sviluppa solo nel XV Secolo con la nascita della stampa e solo in ambito letterario, ma bisogna attendere il 1710 con lo Statute Of Anne emanato dalla Regina D'Inghilterra per ottenere una prima vera legislazione in materia di Copyright che, solo nell'Ottocento, ha iniziato ad occuparsi anche del settore musicale.
In Italia la Legge 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d'autore attribuisce in via esclusiva alla SIAE (Società Italiana Autori ed Editori) fondata nel 1882, la funzione di protezione ed esercizio dell'intermediazione dei diritti d'autore. In Italia la SIAE è tuttora l'ente di riferimento in materia di Copyright; assume la gestione di un'opera d'ingegno solo quando i titolari del diritto d'autore le affidano volontariamente le proprie opere, iscrivendosi mediante domanda di associazione o mandato e pagando un bollettino per ogni nuova opera.
Nel corso della recente storia della “musica leggera” e dei vari supporti materiali che l'hanno caratterizzata – dai vinili, alle compact cassette fino ai CD-Rom –, si sono progressivamente verificati svariati casi di elusione del diritto d'autore che hanno raggiunto livelli molto alti nello sviluppo di Internet e in particolare del cosiddetto Web 2.0 in cui tutti gli utenti possono condividere e fruire dei contenuti molto più facilmente. Questo è dovuto alla presenza sempre più diffusa di programmi e siti web facilmente accessibili che permettono di scaricare illegalmente la musica – così come anche altre opere d'ingegno – rendendo la pirateria un fenomeno sempre più presente e problematico. Inoltre Internet, per la sua caratteristica di fenomeno planetario che collega tutti i computer connessi ad una rete da ogni parte del mondo, non ha una legislazione univoca in quanto non sottostà a nessuna sovranità nazionale; pertanto nonostante le varie revisioni apportate alla Convenzione di Berna e quella di Roma e i risultati raggiunti con la pubblicazione del “Libro Verde” in cui viene affrontato il tema del diritto d'autore e le sue sfide con il digitale, non vi sono ancora esiti soddisfacenti per garantire a pieno la tutela del Copyright sul web.
Ma accanto ai numerosi programmi di pirateria, vi sono anche svariate piattaforme che hanno il fine di supportare il mercato della musica e i diritti degli artisti. Uno degli esempi più recenti e fortunati è il caso di Spotify, programma diffuso in numerosi paesi che nasce con l'obiettivo di diffonde legalmente un catalogo di musica in continua espansione, facendo accordi con le grandi Major discografiche e anche con molte etichette indipendenti, in modo da sostenere sia i grandi artisti che quelli emergenti mediante un doppio servizio: uno gratuito in cui la musica è intervallata dalla pubblicità ed un altro a pagamento che permette ascolti illimitati. Ogni qualvolta un brano venga riprodotto su Spotify, l'artista ne guadagna di diritti d'autore in quanto tutta la musica riprodotta è monitorata; pertanto grazie a questa piattaforma è stato registrato un calo del download illegale di musica, con poche eccezioni che vedono, purtroppo, l'Italia tra i paesi in cui il tasso di pirateria è ancora tra i più alti.
Infine ho analizzato le varie normative che caratterizzano le esibizioni dal vivo; queste in Italia sono il risultato di una stratificazione di leggi emanate nel corso degli anni e volte soprattutto a modificare le precedenti. Mi sono soffermata in particolare sul Live Music Act del Regno Unito e sul Decreto Valore Cultura diventato poi Legge 7 ottobre 2013, n. 112 che è stato influenzato in parte dalla legge inglese, sebbene si occupi principalmente di garantire una svolta importante per i siti archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia con il “Progetto Pompei”, di conferire maggiore importanza ai musei italiani e di dare la possibilità ai giovani di fare un tirocinio nel settore dell'arte e della cultura. Un elemento importante che accomuna il Live Music Act e la Legge Valore Cultura è il fine di semplificare la burocrazia per le esibizioni di musica dal vivo nei locali di fronte ad un pubblico massimo di duecento persone, dunque non bisogna più ottenere la licenza per organizzare questo genere di eventi live, però resta comunque necessario avere alcuni requisiti quali l'agibilità, la licenza di pubblico spettacolo, i requisiti di pubblica sicurezza previsti dal Testo Unico e bisogna continuare a pagare il diritto d'autore e quindi, nel caso specifico dell'Italia, ottenere il permesso dalla SIAE compilando il programma con tutte le opere eseguite effettivamente durante l'esibizione che deve essere firmato da tutti gli associati/mandati SIAE che abbiano preso parte all'esecuzione.
Dunque eludere il diritto d'autore non significa solo un mancato guadagno per l'autore a cui appartiene una determinata opera, ma soprattutto significa non rispettare il lavoro dell'autore stesso e ancora di più non dare il giusto valore al settore artistico a cui appartiene l'opera d'ingegno.
Quindi come vi sentireste se al posto di una canzone scaricata illegalmente, ad esempio, ci fosse il conto non pagato al ristorante?  

27 Marzo 2015: Dottoressa in 
Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo.

sabato 21 marzo 2015

People don't take trips... trips take people.

Sono di natura molto impulsiva, soprattutto per le cose davvero importanti, mentre mi perdo in lunghe ed estenuanti riflessioni per quelle stupide. Forse dovrebbe essere il contrario, ma io sono un ossimoro.
Erano mesi che l'idea di andare in Serbia affiorava di tanto in tanto nella mia mente, come un sogno ricorrente che però viene dimenticato al mattino.
Perché in Serbia e non in un altro Paese? Eh, bella domanda. Because, risponderebbe qualcuno di mia conoscenza senza aggiungere altro, che un po' equivale al nostro perché sìBecause.
Poi, il giorno dopo la discussione della mia tesi di laurea, sono andata sul sito dell'Easyjet ed ho prenotato, così, senza prendere nemmeno un secondo per riflettere. L'ho fatto e basta, poi dopo ho iniziato a mangiarmi le unghie a sangue pensando di aver preso una decisione avventata. E lo è stata, il mio viaggio in Serbia è stato decisamente la cosa più folle, impulsiva, avventata e meravigliosa che abbia mai fatto.
In Italia i voli per Belgrado sono prevalentemente da Milano Malpensa, o almeno con la Easyjet (che purtroppo da aprile 2015 interromperà i voli per la capitale serba, non si sa per quale arcano motivo) bisogna prenderlo lì, essendo la scelta più economica infatti, non mi sono posta il problema di vedere l'Alitalia, l'Air Serbia e la Turkish Airlines cosa offrissero. Magari in un futuro si vedrà...
Raggiungere l'Aeroporto di Malpensa è un po' la versione moderna del viaggio di Ulisse nell'Odissea. Soprattutto se vi chiamate Helda Tassi e due giorni dopo aver prenotato l'aereo viene indetto sciopero nazionale dei mezzi di trasporto. Per cui l'avventura è stata più o meno questa: sveglia al sorgere del sole (ci aggiungerei una reticenza poetica), autobus per arrivare alla stazione ferroviaria di Bologna, treno Italo [pregando qualsiasi divinità che partisse e, per fortuna, Italo Nuovo Trasporto Viaggiatori non scioperava a differenza delle Ferrovie dello Stato], arrivo a Milano Porta Garibaldi e relativa colite per l'ansia che tutte le corse del Trenord fossero state annullate e di dover quindi arrivare a Milano Centrale per prendere un autobus che probabilmente ci avrebbe messo un'era glaciale per arrivare in Aeroporto; la fortuna è stata dalla mia parte e, mezz'ora dopo essere scesa dal treno Italo, ho beccato l'unico Trenord che passava durante la mattina. L'unicoHo quindi appurato che Malpensa dista da Milano più o meno quanto Hogwarts da King's Cross Station e che probabilmente non ho beccato i Dissennatori perché c'era già lo steward di bordo (non so se abbiano questo nome anche nei treni) che ci provava con me e trovava qualsiasi scusa possibile per avvicinarsi al mio posto e non mi è partito un bestemmione giusto perché ero concentrata a contare con ansia le fermate che mancavano all'aeroporto. Una volta arrivata, poteva mai la mia Odissea essere terminata? No. Infatti l'aereo per Belgrado partiva dal Terminal 2, per cui ho dovuto fare anche dieci minuti di navetta per raggiungere l'altro terminal. Finalmente in aeroporto, ho fatto il check-in e, al controllo passaporto mi è quasi venuto un infarto. Sulla guida di Belgrado della Lonely Planet, sul sito www.viaggiaresicuri.it e persino su quello dell'Ambasciata Italiana in Serbia, c'è scritto che [cito testualmente] a partire dal 12 giugno 2010, i cittadini dei Paesi membri dell’Unione Europea possono viaggiare nella Repubblica di Serbia avvalendosi anche della sola carta di identità valida per l’espatrio, e non solo del passaporto, per un periodo di soggiorno che non ecceda i 90 giorni. Quindi naturalmente io che non ho (ancora) il passaporto sono andata tranquilla, ma quando ho letto "controllo passaporto", ho visto la mia vita passarmi davanti in un istante, ho persino iniziato a chiedermi se l'Italia fosse davvero nell'UE. Ovviamente sì, era solo una delle mie 55 Paranoie, infatti sono riuscita ad imbarcarmi. Tralasciando che, in attesa dell'apertura del gate, c'era una bimba serba (che non parlava una parola di inglese o italiano) che si era letteralmente innamorata di me, mi dava i baci sulla guancia e mi faceva accarezzare il suo orsacchiotto e che in aereo mi sono trovata negli ultimi posti seduta tra una signora sovrappeso ed il figlio alto un metro e novanta, il viaggio Milano-Belgrado è stato tranquillo e veloce. Oltre ad essere stato il mio primo viaggio in aereo da sola e, in generale, il mio primo viaggio da sola all'estero, per cui mi aspettavo di farmi venire almeno una ventina di attacchi di panico, invece a dieci minuti dal decollo, già flirtavo con Morfeo.
In totale cinque mezzi di trasporto differenti da Bologna a Belgrado.
Ma parliamo di cose serie. La Serbia (e credo anche gli altri paesi dei Balcani) è decisamente sottovalutata. Io ho visitato Beograd e Pančevo (sì, preferisco usare i nomi originali, come per qualsiasi città) e le ho trovate molto belle. Belgrado è una città splendida che non potevo non adorare: è una perfetta combinazione di antico e moderno in cui si mescolano Oriente ed Occidente in un intreccio incredibile e perfetto e io, amante delle città antiche e piene di storia che ho amato Roma e Atene, non potevo non innamorarmi anche della capitale serba, sebbene non sia meravigliosa da togliere il fiato come queste due, è comunque una città incredibile. C'è tanto da vedere ed io ho adorato ogni angolo: da Skadarlija, una strada dal fascino bohémien che ricorda un po' Montmartre con la pavimentazione che loro chiamano "alla romana" (caratterizzata da delle pietre irregolari, differente da quella "alla turca" che ricorda i nostri sampietrini) in cui ci sono svariati localini, bistrot e ristoranti in cui non mi sono impuntata per entrare giusto perché non volevo fare la figura della bambina viziata; alla Crkva Svetog Marka, ovvero una bellissima chiesa ortodossa dedicata a San Marco (situata nel Tašmajdan che è un parco), di cui ho adorato l'architettura; alla Trg Republike che è la piazza principale nonché luogo d'incontro dei giovani e non solo da cui parte la Knez Mihailova (una delle strade dello shopping), in questa piazza ho assaggiato una pizza molto migliore della maggior parte di quelle provate a Bologna ed ho anche mangiato un pancake alla Nutella e banana che ancora mi fa sbavare al solo pensiero per quanto era buono; al bellissimo Tempio di San Sava che è uno dei simboli della città, iniziato a costruire un secolo fa e ancora da completare all'interno; fino ad arrivare ad uno dei posti che ho preferito di più della città, ovvero la Kalemegdan, una cittadella romana che sorge su una collina con le mura che la circondano da cui si ha una vista spettacolare che a me, appena arrivata a Belgrado, ha letteralmente tolto il fiato perché si vedeva tutta la città (in particolare la parte più antica) e poi i due meravigliosi fiumi che attraversano la città (Sava e Danubio) che si incontrano e circondano una piccola isola, l'Ada Ciganlija... ed assicuro che panorami mozzafiato ne ho visti parecchio, ma questo è stato di sicuro uno dei miei preferiti, al tramonto è davvero magico. 
[N.d.R. I had a special guide who showed me all the city and, even if he thought I wasn't very careful, I was very interested and I remember everything]
Pančevo, invece, è una piccola città a poco più di mezz'ora dalla capitale ed è adorabile (e, per certi aspetti, romantica). Anch'essa attraversata da un fiume, il Tamiš (la cui riva è secondo me uno dei posti più suggestivi), con meno attrazioni rispetto a Belgrado, ma carina comunque con le sue chiese, il parco in cui ci sono degli attrezzi ginnici accessibili a chiunque come le giostre per bambini (e questa cosa mi ha fatto letteralmente impazzire, fantastico!), la stazione ferroviaria e le case basse in mattoncini.
Una caratteristica dei serbi che avevo notato già la scorsa estate ad Eretria a contatto con diversi animatori di questo Paese e che ho adesso definitivamente appurato, è che sono un popolo adorabile: ospitali, gentili, disponibili e credo che gli italiani, nella loro spesso immensa presunzione, avrebbero molto da imparare. 
Nonostante i miei gusti difficili (difficilissimi!) in "materia di cibo", mi sono preposta di assaggiare – quasi – tutto quello che mi è stato proposto e, contro le aspettative, ho apprezzato la maggior parte delle loro pietanze: ho mangiato il loro pranzo domenicale tipico, ovvero una zuppa di pollo, seguita da cotolette e purè; burek (una sorta di rustico in pasta sfoglia con all'interno prosciutto, formaggio e funghi) che mi è piaciuto molto, peccato solo che l'ho mangiato a colazione e per me è inconcepibile mangiare salato appena sveglia; sarma (degli involtini di cavolo con all'interno carne macinata) e pljeskavica che è carne tipo hamburger (ma centomila volte più buona!) che di solito mangiano in un panino insieme ad alcune salsette e che a me ha fatto letteralmente impazzire perchè era ottimo. 
La Serbia è assolutamente un paese da vedere, tutta, ne sono certa anche se ho visto solo due città ma sono bastate affinché avessi un'ottima impressione del Paese. Il mio soggiorno lì è stato bello e intenso, ha lasciato in me un ricordo molto piacevole che difficilmente potrò dimenticare e spero che questo sia stato solo un assaggio e che ci saranno altre occasioni per tornare lì.
Hvala.

    
Hram Svetog Save, Beograd   
   
                                                               Skadarlija, Beograd
        
Kalemegdan, Beograd 
         Tamiš, Pančevo
    
 Pancake. Trg Republike, Beograd  
   
            Biliard. Pančevo.
                                                                                        Хвала, волим те

venerdì 6 marzo 2015

Ossimoro.

Ossimoro: una figura retorica che consiste nell'accostamento di due termini di senso contrario o antitetico tra loro.
Ricordo ancora la prima volta che ho letto questa parola - la prima volta che vi ho prestato attenzione, forse -, erano i primi mesi del terzo anno del liceo ed era scritta più o meno al centro di un foglio su cui erano elencate tutte le figure retoriche, quelle che poi ho odiato fino ad amare ogni qual volta le trovavo all'interno della Commedia, o di qualsiasi altra opera letteraria nelle varie lingue che studiavo.
Sono io, praticamente. Lo pensai allora ed adesso ne sono ancora più convinta.
All'epoca mi sentivo fragile, come un dente di leone spazzato via dal vento che, per una strana - ossimorica - ironia della sorte, portava un nome che significa "guerriera". Ho impiegato molto tempo per rendermi conto che il mio nome è uno dei pochi "non ossimori" della mia vita. Il soffione è un fiore che, per quanto fragile, cresce dovunque, nonostante le avversità e io sono esattamente così, una guerriera.
Ma sono effettivamente ossimorica per tutto il resto. In continua contraddizione con me stessa, ma non incoerente o indecisa o ignava. No, solo ossimorica.
Tutto quello che ho amato davvero nella mia vita, l'ho anche odiato con tutta me stessa. Per qualsiasi cosa, dal violino alle migliori amiche. E tutto il resto. Odi et amo, altrimenti per me rasenta l'irrilevanza.
Come quando andavo allo Zoo di Napoli considerandolo uno dei miei posti preferiti al mondo, sebbene lo odiassi. Dopo la zona ristoro, le giostre e il baby zoo, c'erano le gabbie dei felini; tra tutti gli animali, questi sono quelli che amo di più e, la similitudine (caratteriale) che qualcuno ha riscontrato tra me e i gatti, mi sembra pertinente, appropriata. Ricordo che sulla sinistra c'erano le tigri e sulla destra, in una stretta gabbia - come del resto tutte - con un tronco di un albero in orizzontale, c'erano un puma ed un leopardo. Erano bellissimi e profondamente sbagliati, lo sapevo anche allora: vederli così vicini era per me una gioia indescrivibile, ma era una visione imperfetta, come uno spartito con una perenne fase di tensione che non risolve sulla stasi della Tonica.
Un animale così grande, micidiale e stupendo non doveva trovarsi chiuso in una gabbia che al massimo era di tre metri, costretto a camminare per sempre in quello spazio ridotto incontrando ogni volta un muro che lo costringeva ad invertire la marcia. In un loop crudele ed infinito.
Se all'epoca provavo sofferenza per gli animali dello Zoo di Napoli, adesso so esattamente come si sentiva quel meraviglioso leopardo.
Chiusa nella mia piccola stanza con vista tetti rossi di Bologna, mentre cammino avanti e indietro dovendo continuamente fare inversione di marcia perché limitata dalle mura che la circondano. In una gabbia che ho cercato io stessa e che, in verità, solo ora sento come una gabbia, mentre ripeto fino a perdere la voce e a mangiarmi le unghie a sangue per l'ansia. Agognando una libertà più simbolica che effettiva e desiderando al contempo che questi giorni passino in fretta e che non passino perché ho bisogno di più tempo.
D'altronde, sono un ossimoro.

martedì 3 marzo 2015

sabato 28 febbraio 2015

Assenza.

Grazie per l'assenza.
L'ho scritto anche alla fine dei ringraziamenti della mia tesi di laurea perchè l'assenza a volte fa male e spesso proprio dal dolore nascono cose buone.
Nell'ultimo semestre ci sono state varie assenze, alcune di cui mi sono accorta appena e che mi sono sembrate persino puntuali, altre invece sembrano scavare una buca profonda nel petto. Una su tutte, in verità.
Dal dolore per questa assenza è nata una canzone di recente, la mia prima canzone. Una canzone di cui ho in mente la musica e il cui testo mi piace, anche se non mi convince ancora del tutto - ritornello a parte -, ma l'ho scritta di getto, senza pensare alle formalità. È imperfetta come una lacrima.
Grazie per la tua assenza. So che tanto non leggerai questo post, non credo tu sia mai entrato in questo mio piccolo angolo di Web nemmeno all'inizio, quando mi scrivesti "scopro solo ora che hai un blog", dunque non lo farai ora che anche quell'ombra di interesse che sembrava provassi per me è svanita. Ed è svanita da parecchio, nonostante il mio voler credere alle tue parole, che si perdono nel vento. Quindi ecco l'ennesima cosa che ti scrivo e di cui tu non saprai mai l'esistenza. Lettere, storie, una canzone... quanto spreco di creatività artistica.
Mi manchi, ma la consapevolezza che per te non è lo stesso mi impedisce di provare a cercarti, ancora. Non ha senso, comunque. Quando volevi essere cercato me lo facevi capire bene e spesso - soprattutto all'inizio - eri tu a cercare me; se penso a quei "buongiorno/buonanotte piccola H" ancora avverto un vuoto allo stomaco, come se avessi involontariamente saltato uno scalino scendendo le scale. Ma stiamo parlando di tempo fa quando con qualche frecciatina mi facevi notare che "stavo sparendo", ora mi hai indotto a farlo sul serio e non ti interessa. Come cambiano le cose. A mia discolpa dico che io non avevo assolutamente considerato che tu potessi diventare importante per me.
E invece...
Vorrei smetterla di pensarti e basta. Vorrei non voler più mettere mi piace a qualcosa che scrivi, perchè tanto è inutile; vorrei non svegliarmi più nel mezzo della notte piangendo e cercando di sopprimere un dolore che nessuno può alleviare. Vorrei.
Quindi cerco di tenermi impegnata, sparisco in universi paralleli lontani dal "nostro" e progetto viaggi, sia mentali che reali per scappare dal dolore e anche un po' da me stessa.
Forse non sarà sempre così, forse ci riuscirò davvero, a smettere di pensarti e allora non sentirò più quel dolore. Forse ci incontreremo per caso tra gli scaffali del reparto "musica" de La Feltrinelli in Piazza De' Martiri, come il nostro primissimo, veloce ed involontario incontro; oppure non ci vedremo mai più ed entrambi saremo stati solo una nuvola passeggera nella vita dell'altro. O forse tu mi cercherai di nuovo, quando invece io avrò perso tutti i motivi per cercarti e per farmi trovare da te, ma quella non sarebbe una vittoria, solo un altro ennesimo fallimento, mio con il tuo nome.
Per questo ci sei anche tu, nei ringraziamenti della mia tesi di laurea. All'inizio avevo scritto #Mio, ma non ho mai avuto il diritto di chiamarti così, non sei mai stato mio, per cui nella versione ultimata e stampata ho usato il tuo soprannome, semplicemente. Esattamente come quando abbiamo parlato la prima volta e tu mi hai detto il tuo nome "oppure" quelle due lettere uguali, una maiuscola e una minuscola.

«When we fall in love with someone we say "hello" and it's magical, we never imagined that "hello" could someday turn into a "goodbye". And when we have the first kiss with someone it's magical, we never ever imagined someday that it could turn into a last kiss.», Taylor Swift.