Helda meaning.

Helda /ˈɦeld̪a/: antico nome germanico che significa "guerriera".

mercoledì 28 ottobre 2015

Cronache di una studentessa fuori sede (di nuovo!)

Cosa si fa a Milano quando piove e si è soli in hotel se non si vuole fare la stessa fine di Janis Joplin?
Si passeggia fino allo strenuo per Corso Buenos Aires guardando i vestiti in vetrina e pensando a quanto ti starebbe bene quel cappello bordeaux che indossa il manichino! Che poi camminando mi sia venuta una disdicevole voglia di cheasecake con la base di Graham Crackers alla cannella - che a tratti sembrava voglia di crostata di crema pasticciera e fragoline -, nonostante in hotel avessi un'enorme quanto ottima frittata di maccheroni cucinata dalla mia chef che ama farsi chiamare mamma, è un'altra storia di cui la SPM è sicuramente la principale responsabile. Nonostante ciò, habemus cheasecake perché vicino all'albergo ho scoperto una yogurteria che in vetrina aveva esposta questa bellissima torta che mi chiamava come se fosse stata messa lì per me e le mie capacità di resistenza erano scarse come se mi fossi trovata davanti ad un paio di occhi acquamarina appartenenti ad un ragazzo slavo.
Mangiata la frittata di maccheroni ed in attesa di Jane Eyre in TV per mangiare il dolce newyorkese, ho deciso di concedermi un po' di tempo per riportare le cronache di una studentessa fuori sede - la vendetta.
Ebbene sì, sono di nuovo una studentessa fuori sede, o meglio, lo sarò tra qualche giorno quando sarò di nuovo una matricola. Che poi quando si inizia un Master si può davvero dire di essere una "matricola"?
Ma partiamo dall'inizio, anche se non è proprio l'inizio, in effetti. Sono di nuovo alla ricerca di una casa, che è il mio incubo ricorrente da quando avevo quindici anni e mezzo e probabilmente è una delle dieci piaghe d'Egitto dopo le locuste e la pioggia di ghiaccio e fuoco; la prossima volta che mi metterò in cerca di una casa, dovrebbero darmela ad honorem. Quindi, esattamente come - l'ormai lontano Ottobre 2011 -, sto trascorrendo ancora una volta una notte da sola in una stanza d'albergo e questo mi fa pensare a quante cose siano cambiate nel corso di questi quattro anni e quanto io stessa sia cambiata. Innanzitutto ricordo che le notti trascorse da sola in quell'albergo a Bologna furono un trauma e la prima sera piansi per un'ora da sola abbracciata al cuscino, ora mi abbandono molto più difficilmente a crisi isteriche (disse quella che proprio stamattina ha avuto una crisi isterica e due giorni fa quando ha saputo di essere stata ammessa e tre giorni fa quando pensava invece che non sarebbe mai stata ammessa - reticenza!), ma adesso sono laureata, perciò - almeno in teoria - dovrei essere illuminata dal lume della conoscenza, ho perso circa una ventina di chili per entrare finalmente in una quarantadue e soprattutto sono entrata nell'età in cui il primo numero è un 2 e non più un 1! Inoltre dopo il mio viaggio dell'amore in Serbia, direi che una notte in hotel a Milano non rientri tra le cose più difficili (o improbabili) che abbia fatto da sola.
A proposito del viaggio dell'amore, proprio in quel periodo, a cinque giorni dalla discussione della mia tesi di laurea e ad una settimana dal meraviglioso «Helda Tassi, per i poteri conferitimi dalla legge la dichiarò Dottoressa in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo», ho pensato molto al cosiddetto "post-laurea"; un pensiero che mi ha angosciata per sette mesi per poi diventare un pianto di gioia quando lunedì mi è arrivata la stupenda mail «Gentile HELDA TASSI, siamo lieti di comunicarLe l'ammissione al Master universitario in COMUNICAZIONE MUSICALE».
Ce l'ho fatta! 
Venticinque posti, più di sessanta candidati che per due giorni hanno aspettato come me ore interminabili prima di poter fare il loro colloquio (naturalmente il mio cognome inizia per T, perciò come al solito ero la terzultima del mio giorno... Ma gli ultimi saranno i primi e infatti!).
Io ero certa, sicurissima al punto da iniziare a pensare al suicidio stoico di Seneca, di non averlo superato, e invece la  signorina Tassi ha fatto bene il suo percorso universitario, ha fatto una buona tesi ed ha interloquito adeguatamente al colloquio mostrando chiaramente le proprie idee. Quindi tra quei venticinque ci sono anche io! (Sentito Luca De Gennaro? Ora assumimi e ripristiniamo insieme TRL, I'll be your VJ!)
Quindi, mentre i Negrita rotolano verso Sud, io mi sposto sempre più a Nord, pertanto è probabile che un giorno mi sentirete sulle frequenze di Radio Polo Nord e il mio direttore sarà Babbo Natale.
E se i corsi del DAMS mi entusiasmavano, quelli del Master in Comunicazione Musicale sono l'apoteosi del piacere e sono ancora più impaziente di ricominciare a studiare (conosco persone che mi controllerebbero la febbre se mi sentissero dire una frase del genere, eppure...) e di mettermi alla prova proprio nell'ambito che io ho sempre amato tanto, perciò va bene tutto, io sono carica.
Ora mi godo Jane Eyre mangiando quella deliziosa cheasecake che mi guarda dalla piccola scrivania della mia stanza d'albergo. Ah, per la cronaca, Charlotte è la mia preferita delle sorelle Brontë.


venerdì 9 ottobre 2015

La distanza uccide l'amore

La distanza uccide l'amore, prima o poi.
Perché l'amore non può essere solo canzoni ascoltate in loop anche se fanno male, quel profumo così familiare e messaggi struggenti in cui compare sovente il "mi manchi" e non potrebbe essere altrimenti perché se la persona che ami è distante ti manca allo stesso modo in cui ti mancherebbe l'aria dopo svariati minuti in un posto chiuso e stretto.
L'amore ha bisogno di vedere. Di bearsi della imperfetta bellezza dell'altro, di perdersi nelle sfumature diverse degli occhi e pensare che al mondo non esistano occhi più belli di quelli nei quali riesci a perderti come se fossero un meraviglioso oceano; ha bisogno di vedere la curva delle labbra quando sorride e compiacersi di essere la causa di quel sorriso. Ha bisogno di vederlo collocato su uno sfondo reale ed essere consapevole che per quanto possa essere bello il panorama dietro, lui resta sempre più bello e più degno di tutte le tue attenzione e della meraviglia che ti provoca guardandolo.
L'amore ha bisogno di sentire. Perché quella canzone ascoltata in loop assume armonie diverse se ascoltata insieme, ricordando i momenti in cui quella musica aveva suonato la prima volta, di quel ballo indimenticabile davanti a degli spettatori ignari ed estranei; ha bisogno di ascoltare nuove canzoni da riprodurre successivamente per rievocare altri momenti alla memoria, di sentire il suono della sua risata e quello del suo respiro profondo mentre dorme ed infiniti altri suoni di sottofondo meno influenti. Di sentire soprattutto la sua voce e comprenderne le sfumature differenti.
L'amore ha bisogno di percepire gli odori. Ché quel profumo, anche se impresso nella tua mente in ogni alterazione della fragranza che lo compone, non sarà mai bello come sentirlo su di lui o sui tuoi vestiti dopo essere rimasta a lungo tra le sue braccia. Così come ha bisogno di sentire l'odore del mare o della pioggia. L'odore della sua casa così diverso da quello familiare della tua.
L'amore ha bisogno di assaporare. Perché il ricordo di un bacio, per quanto bello, non sarà che un'ombra sbiadita del sapore di quel primo bacio al gusto di cioccolata e di tutti gli altri che sono seguiti. Di sentire il gusto amarognolo delle pellicine che mangi durante il viaggio per l'ansia e l'attesa di rivederlo dopo tanto tempo. Del sapore di cibi improbabili che lui ti chiede di provare e che, contro ogni previsione, si rivelano davvero buoni.
L'amore ha bisogno di toccare. Non te ne fai niente di continuare a stringerti nella maglia che ti ricorda lui, hai bisogno di sentire sotto le tue mani la durezza delle sue spalle larghe e del petto, la decisione con cui ti abbraccia e, nonostante la sua forza, avvertire il modo in cui quello ti sembra il posto migliore al mondo; ha bisogno di percepire la ruvidità della barba un po' incolta, la morbidezza dei suoi capelli, delle sue labbra sulle tue, del suo corpo. Ha bisogno di intrecciare la tua mano alla sua, di saggiare la comodità di un letto estraneo, dei brividi provocati dal contatto, dello sfiorarsi involontariamente e volontariamente.
L'amore ha bisogno di consumarsi, di bruciare di passione, di litigare fino ad urlare, ché non te ne fai niente delle lettere o delle conversazioni su What's App dove è inutile che urli, che piangi, che imprechi, perché tanto lui non è lì. L'amore ha bisogno di ridere insieme, di "vaffanculo" gridati a pieni polmoni e di "ti amo" sussurrati appena; ha bisogno di "ci vediamo." e non "ci vediamo?" che è tutta un'altra storia. Ha bisogno di essere vissuto.
Ma l'amore è amore e sfugge dalle convenzioni, dagli obblighi e dalle imposizioni e non si lascia comandare ed esiste comunque, anche senza le sue necessità, perché si alimenta da solo e non ha bisogno poi di molto altro. L'amore è amore, nonostante tutto.
La distanza uccide l'amore. O almeno così dicono. Non so l'amore di chi, di sicuro non uccide il mio... Ma forse è l'amore ad uccidere la distanza.

[Sunset from Kalemegdan, Belgrade. 16.03.2015]