Si possono fare tutte le congetture, i progetti e i programmi. Ma la verità è che le cose accadono in modo estremamente diverso rispetto a come le si immagina.
Un po' come programmare un viaggio: si conosce la destinazione, ma non cosa accadrà una volta arrivati.
Questo è un continuo viaggio, caratterizzato da incontri, assenze, di esperienze e, come in ogni viaggio, di distanze.
Ho sempre pensato di essere abituata alla distanza. L'ho vissuta quando mio padre era fuori lunghi periodi e io lo cercavo nello schermo di un televisore chiedendo alla sua immagine rimpicciolita di tornare a casa, di tornare da me; ancora di più l'ho sperimentata a Bologna, quando più che in altri momenti, ho dovuto fare della solitudine il mio punto di forza. Però la solitudine non mi ha mai spaventata, sono figlia unica e troppo selettiva quando si tratta delle persone che voglio accanto a me, fino a ridurle davvero tanto; ma la distanza è tutta un'altra cosa.
Distanza significa impossibilità di raggiungere qualcuno, quindi assenza, quindi mancanza.
E di mancanza io ormai sono un'esperta. Di quella mancanza che toglie il respiro ed inchioda il cuore nel petto, ti fa desiderare di dormire ancora ed ancora per smettere di pensare perché la mente torna a quei momenti in cui la distanza non c'era e tu eri talmente felice da avere l'impressione di poter afferrare una stella.
Non avevo programmato che questo accadesse, non l'avrei mai voluto, ma è successo.
E millequattrocentosettantacinque chilometri di distanza sembrano molti di più di quanti effettivamente siano, come se ci volessero svariati anni luce per percorrerli ed annullare la distanza, e raggiungere la felicità.
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