Il 27 gennaio è una data con un certo peso, è nato Mozart quel giorno, è morto Verdi ed è il Giorno della Memoria e probabilmente ci saranno stati altri innumerevoli eventi importanti che rendono ulteriormente più trascurabile il mio compleanno.
Il periodo che va dalla fine delle feste di Natale al 27 gennaio è ormai sempre più frequentemente caratterizzato da paranoie che mi fanno immaginare deteriorata e mostruosa come il ritratto di Dorian Gray e che mi fanno detestare il suono delle lancette degli orologi peggio di quanto le detesti Capitan Uncino, mentre nella mia mente c'è sempre un coniglio col panciotto che mi insegue ricordandomi che è tardi.
Ma in fondo io sono paranoica di natura, credo sia il mio peggior difetto.
Da tre giorni sono più vecchia di un altro anno e ora sono 22.
È stato un compleanno di ritorni, di lontananze virtualmente abbreviate e di assenze.
Ma, per quanto abbia cercato, non mi pare di aver trovato fili argentei tra i miei capelli color caffè. Non che mi aspettassi di invecchiare così velocemente da un giorno all'altro, né che ci fossero delle novità o che fossi maturata, anzi... Continuo a pensare di avere ancora sedici anni, sebbene abbia odiato avere sedici anni e credo che quello sia stato in assoluto l'anno più brutto della mia vita; continuo a preferire la Coca Cola al vino o alla birra, a fare gli stessi sbagli, a prendere ancora le decisioni in modo impulsivo e decisamente dannoso per me stessa, continuo a distrarmi dallo studio pensando alle più svariate ed improbabili sciocchezze. Insomma, continuo a sentirmi un personaggio statico, ma forse sono a tutto tondo e non me ne rendo conto, forse nemmeno Elizabeth Bennet era consapevole della sua maturazione.
Però poco dopo lo scoccare dei ventidue - beh, facciamo all'incirca quarantotto ore dopo -, ho preso una penna nera e, anziché dedicarmi con cura agli schemi del poema sinfonico ottocentesco, con la mia calligrafia storta verso sinistra ho scritto la mia prima canzone. Cioè, ricordo di averne scritta una quando ero abbastanza piccola che comprendeva un'unica strofa e un ritornello e probabilmente riguardava le eroiche gesta di Mago Diddino e Signor Cavallo (credo fossero due miei amici immaginari, ma sono certa che, a dispetto dei loro nomi poco onorevoli, le loro gesta fossero eroiche al pari dei cavalieri delle chansons trobadoriche o degli eroi dell'Antica Grecia), però di quella non esistono più tracce, sebbene mi piaccia immaginare che i Bimbi Sperduti la cantino davanti ad un falò.
Sono molto orgogliosa della mia canzone, sebbene non sia eccellente dal punto di vista metrico, ma ammetto di essere sempre stata abbastanza saccente riguardo le mie creazioni letterarie e, nonostante la mia professoressa di Italiano e Latino che al liceo mi ripeteva continuamente di non considerarmi l'erede di Tasso non solo dal punto di vista del cognome, quell'otto (o nove) scritto in rosso sui miei compiti non faceva altro che aumentare la mia leggera presunzione.
Ci ho messo ventidue anni per scrivere una canzone, però alla fine il risultato mi piace e, con mia enorme sorpresa, non è incompleta come la maggior parte delle mie storie che vorrebbero atteggiarsi a romanzi e che non lo saranno mai perché non hanno una fine. Mi sono resa conto che scrivere una canzone è un po' come riversare un pezzetto di anima sul foglio, perciò credo di aver appena generato un Horcrux, ma non ho usato l'Anatema che uccide, sono ligia nella mia natura di Grifondoro e non c'è pericolo che diventi la Strega Oscura più temuta dai tempi di Lord Voldemort.
Il vero problema adesso è musicarla. Sono figlia di un musicista che ha scritto svariate canzoni - sia il testo che la musica -, ho studiato violino e per circa vent'anni della mia vita alla domanda «cosa vuoi fare da grande?» ho sempre risposto «la cantante», eppure la verità è che non ho idea di come si componga musica. Certo, dopo dieci anni che ho a che fare con la musica classica, so leggere benissimo una partitura, riesco a riconoscere più o meno velocemente le modulazioni nell'ambito del circolo delle quinte e riesco a trovare con un po' di sforzo una cadenza o a riconoscere una Terza Picarda; volendo potrei persino comporre un corale in stile Bach (molto più modesto, ovviamente), però di musica leggera io non so niente, almeno dal punto di vista formale e tecnico, perché nella teoria sono ferratissima.
Ma confido nella perseveranza tipica del segno dell'Acquario, perseveranza che nonostante tutto mi ha fatto venire a studiare a Bologna, che mi ha fatto trovare un'impossibile canzone greca di cui non sapevo neanche una parola e che mi fa andare avanti anche nelle situazioni più improbabili.
E comunque, buon compleanno bambina (anche se con un po' di ritardo).
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